Alexander Watson, Il grande assedio di Przemyśl. 1914. Storia di una battaglia dimenticata, Rizzoli, Milano, 2021

Alexander Watson è docente di Storia contemporanea presso l’ateneo di Goldsmith, University of London. Il suo principale indirizzo di ricerca è la storia dell’Europa centro-orientale di inizio Novecento e nel suo ultimo volume Il grande assedio di Przemyśl ha preso in esame le vicende della città fortezza durante il primo conflitto mondiale. Oggi località della Polonia orientale vicina al confine ucraino, Przemyśl era nel 1914 un eminente centro della Galizia asburgica, regione più orientale del grande impero multietnico austroungarico. L’obiettivo dell’autore, come esplicitato nell’introduzione, è duplice; intende ripercorrere i lunghi mesi di assedio, le condizioni della popolazione assediata e le vicende belliche di una, come definita dall’autore nel sottotitolo del libro, battaglia dimenticata ma che invece ha ricoperto una notevole importanza sia come valore simbolico della resistenza asburgica sia per l’andamento del conflitto sul fronte orientale. In secondo luogo, lo storico inglese sostiene, in una prospettiva di ampio respiro cronologico, l’assoluta centralità del primo conflitto mondiale, con le sue implicazioni belliche, sociali, economiche e culturali sugli accadimenti della regione orientale nel corso del XX secolo. Lo studioso britannico cita diversi episodi a sostegno di tale tesi, ampiamente accreditata nel dibattito storiografico degli ultimi decenni, e ritiene che sia possibile riscontrare l’inizio della spirale di atrocità che colpiscono la regione, oggetto di scontro fra progetti nazionali contrastanti e luogo di atroci atti di pulizia etnica, con lo scoppio della Prima guerra mondiale.

Il volume si apre con una ricostruzione sociale e culturale della città, corrispondente al primo capitolo e a parte dell’introduzione. In seguito, il volume prende la fisionomia di un saggio di storia militare; Watson ricostruisce lo scoppio del conflitto, la preparazione dell’esercito austroungarico, le modalità di schieramento delle truppe, il ruolo dei generali, la resistenza della città, le modalità di assalto russe ed infine la resa del 17 marzo 1915. Nell’ultimo capitolo, intitolato «nelle tenebre» Watson scrive dell’occupazione russa e della sua liberazione dalle truppe tedesche il 3 giugno 1915 a seguito all’offensiva di Gorlice-Tarnòw e delle successive due occupazioni di Przemyśl, sovietica dal ’39 al ’41, nazista dal ’41 al ’44, con particolare attenzione alle sorti della popolazione ebraica e rutena.

Nel testo viene ricostruita la composizione etnica e nazionale della città di Przemyśl alla vigilia del conflitto e le relazioni tra le diverse comunità. I polacchi erano la maggioranza della popolazione, venticinquemila su un totale di quarantaduemila abitanti, e il notabilato polacco rivestiva i ruoli di maggiore prestigio nell’amministrazione cittadina, poiché ritenuti più affidabili e fedeli alla casata degli Asburgo. Gli amministratori polacchi ebbero sicuramente il merito di contribuire all’ammodernamento infrastrutturale della città, su tutto la dotarono di una rete fognaria all’avanguardia, ma, fedeli ad una forte ideologia nazionalista, alimentarono un clima di crescente ostilità tra le diverse comunità nazionali, favorendo l’istruzione in lingua polacca e intitolando strade e statue agli eroi e ai poeti della loro storia nazionale. Le due comunità etniche minoritarie presenti a Przemyśl tra Otto e Novecento, quella ebraica e quella rutena, erano attraversate da profonde tensioni e mutamenti interni. In particolare, i ruteni, scissi tra la maggioranza dei contadini e dei ceti umili indifferenti al pervasivo concetto di nazione e che mantenevano saldamente legata la propria concezione identitaria alla fede greco ortodossa, e una maggioranza che invece rivendicava l’appartenenza ad una nascente identità ucraina. Un’ulteriore minoranza invece, a prova della varietà di correnti e di sentimenti che attraversavano i popoli della Galizia orientali, abituati a concepirsi per un lungo periodo come appartenenti al grande impero multietnico e con una costruzione identitaria nazionale ancora in divenire ad inizio XIX secolo, rifiutava l’appartenenza alla nazione ucraina e si considerava parte della grande Russia. La convivenza tra le diverse nazionalità risultava sostanzialmente pacifica nella città di Przemyśl, con un numero di matrimoni misti superiore al resto della Galizia, ma l’autore sottolinea come i germi delle successive derive nazionaliste fossero già presenti. Sono riportati diversi episodi come l’attentato al governatore della Galizia, polacco, nel marzo del 1908, da parte di un giovane ruteno e i periodici pogrom antiebraici. Come accennato in precedenza, l’autore tuttavia individua proprio nello scoppio del conflitto l’inizio della degenerazione dei rapporti tra le comunità. Prova della deriva discriminatrice sono i decreti di espulsione della popolazione rutena, promulgati dall’autorità cittadina nei giorni antecedenti all’assedio, e le indiscriminate e violente uccisioni dei contadini ruteni da parte della Terza e Quarta armate austroungariche, che, sconfitte nella tragica seconda battaglia di Leopoli, durante una disperata e disordinata ritirata accusavano i contadini di essere spie zariste e li additavano causa della sconfitta.

Watson offre una presentazione del ruolo strategico di Przemyśl, città storicamente di confine e crocevia tra oriente e occidente. Parte dell’impero dagli anni Settanta del Settecento, vede definito il suo ruolo di fortezza militare dal 1871, quando il comando militare viennese decide di rinforzare le difese asburgiche sul confine orientale. La città venne puntellata da un enorme complesso militare: 17 forti corazzati cingevano la cittadina e avrebbero dovuto fornire, nella mente dell’alto comando austriaco di fine secolo, il supporto logistico per una futura offensiva in territorio zarista. Watson definisce la fortezza, fin da pochi anni dopo la sua ultimazione, come militarmente antiquata e inefficiente. Le costruzioni risalenti agli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento si trovarono in un tempo rapidissimo impotenti di fronte ai progressi delle artiglierie, capaci al volgere del nuovo secolo di una carica esplosiva e di una cadenza di tiro inimmaginabile fino a pochi decenni prima. Ad aggravare il ritardo tecnologico della fortezza contribuì la nomina nel 1906 di Conrad von Hötzendorf come nuovo capo di stato maggiore austroungarico. Egli fu interprete di una visione moderna e offensivista della guerra e, per questa ragione, frenò i progetti di riammodernamento della fortezza, da lui intesa come deposito di armi e di uomini. Per tale ragione Watson nel testo si sofferma sul ruolo giocato da Von Hötzendorf nella capitolazione della città. Descritto come un “romantico che si ritiene un realista”, “a tratti incosciente”, “esageratamente offensivista”, non conscio delle reali possibilità e delle difficolta del suo esercito, l’autore ne passa in rassegna gli errori strategici, i ripensamenti e le enormi responsabilità nella iniziale debacle austroungarica in Galizia.     

La trattazione dell’assedio, che vede il suo inizio il 24 settembre del 1914, in seguito alla tragica sconfitta nella seconda battaglia di Leopoli che consegna la Galizia orientale alla Russia, è arricchita, oltre alla ricostruzione degli accadimenti strettamente bellici, dall’esposizione dei comportamenti e dei sentimenti sia dalla popolazione assediata, sia dell’opinione pubblica austriaca. La resistenza di Przemyśl assumerà infatti, grazie all’enfasi nel racconto e alla importanza strategica attribuitagli dalla stampa di regime asburgica, un enorme valore propagandistico, simbolo del coraggio e della capacità dei soldati di Francesco Giuseppe.

Per la ricostruzione delle vicende belliche, dal primo accerchiamento, rotto l’11 ottobre dalla congiunta offensiva degli imperi centrali, al secondo assedio del 9 novembre, passando per il lungo inverno della città e alla capitolazione finale del 17 marzo 1915, lo storico inglese ha lavorato principalmente su fonti primarie, attingendo, grazie alla conoscenza del polacco e del tedesco, ai documenti militari dell’esercito austroungarico. In particolare, l’autore cita tre archivi, tra i tanti consultati per la stesura del saggio, l’Archiwum Glòwn Akt Dawnych a Varsavia, l’Archivum Panstwowe a Przemyśl e l’Allgemeines Verwaltungsarchuv di Vienna.

“Il grande assedio di Przemyśl” è un’interessante e piacevole lettura. Permette di approfondire uno scontro decisivo per gli sviluppi del fronte orientale, come delineato con chiarezza e precisione da Watson nel volume, che non era ancora stato oggetto di una ricerca specifica nell’ambito della storiografia anglosassone. Inoltre, pur trattandosi principalmente di un libro di storia militare, l’autore ci fornisce un quadro della complessità delle forze sociali, culturali e nazionali che agivano nella Galizia asburgica ad inizio Novecento.

Cosimo D’Ambrosio