Il volume preso in esame si propone di riassumere un dibattito concernente la figura di Tucidide in Germania e in Italia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Nell’introduzione, Piovan prende in esame le idee e gli insegnamenti di Tucidide, sottolineandone anche la loro valenza per l’interpretazione della contemporaneità. Lo studioso sottolinea ad esempio come il confronto tra Ateniesi e Meli nel quinto libro del racconto di Tucidide torni come tema attuale anche nella grande stampa non specialistica, con la sua dicotomia tra giustizia e rapporti di forza (i Meli si appellano ai principi, ma vengono schiacciati dagli Ateniesi che si basano sulla loro superiore potenza). Cita a questo proposito la posizione dello scrittore e giornalista Daniele Rielli che, nell’articolo Angela Merkel è una vera ateniese del 2015 per la rivista “il Mulino”, analizza il contenzioso tra governo greco e Comunità europea sul debito greco. Anche in questo caso il più debole, il governo greco, si appella ai principi, mentre nei fatti poi valgono i puri rapporti di forza, dunque prevale la Comunità europea. Dopo secoli la posizione degli Ateniesi in Tucidide resta di fatto valida (p. 9). Nell’introduzione viene inoltre ricordato che un ulteriore elemento di attualità di Tucidide risiede nel fatto che spesso, specie negli Stati Uniti da parte di ideologi neoconservatori, si prende spunto dalla sua opera nei dibattiti relativi alla politica estera e all’intervento militare. Piovan arriva quindi a prendere in considerazione la possibilità che Tucidide potrebbe essere considerato il padre fondatore delle relazioni internazionali (p. 11).
Il primo capitolo tratta la nascita del culto tucidideo, che contraddistingue lo storicismo, attraverso l’esame di quattro studiosi della Germania del XIX secolo: Ranke, Ullrich, Meyer e Schwartz (p. 23). Leopold von Ranke ha dato il via al culto di Tucidide (p. 28). Egli trova elementi di vicinanza con questa figura nell’attenzione dello storico agli aspetti politici (subordinandovi quelli economici e sociali) e nel porre particolare attenzione allo scontro tra potenze (p. 26). Il merito più grande che Ranke attribuisce a Tucidide è quello di rappresentare il modello dello storico puro, alieno da qualsiasi preconcetto (p. 25). Franz Wolfgang Ullrich pone il problema dell’unitarietà dell’opera tucididea, partendo dall’analisi filologica del testo. La sua ipotesi è che Tucidide intendesse inizialmente concludere la sua stessa opera giungendo solo fino alla pace di Nicia del 421 (prendendo quindi in considerazione solo i primi dieci anni di guerra), e abbia aggiunto poi le fasi successive senza rivedere la parte iniziale (p. 29). Eduard Meyer sceglie di paragonare la Prussia sua contemporanea alla Grecia antica. In seguito alla partecipazione al primo conflitto mondiale, la monarchia viene sconfitta e destituita per lasciar spazio alla debole repubblica di Weimar. Questo lo porta a identificarsi con Tucidide, testimone della disastrosa guerra del Peloponneso (pp. 38-39). Eduard Schwartz definisce il lavoro tucidideo un Lebenswerk, «l’opera di una vita» (p. 41). Questo perché egli giunge alla conclusione che per comprendere al meglio le opere di Tucidide sia prima necessario capire il suo contesto, dal momento che i vari eventi di cui l’autore greco fu testimone si rivelarono essenziali per guidare la sua evoluzione come storico, dunque influenzandone la narrazione della guerra del Peloponneso (p. 41). Pur essendo il padre dello storicismo, lo spazio dedicato a Ranke risulta nel complesso del capitolo forse ridotto.
Gli ultimi tre capitoli riguardano lo studio di Tucidide nell’Italia del secolo scorso, e sono dedicati rispettivamente a Gaetano De Sanctis ed ai due suoi allievi Aldo Ferrabino e Arnaldo Momigliano. È rilevante la definizione data da De Sanctis, ripresa nel capitolo dedicatogli, dell’opera tucididea come «la prima vera narrazione storica dell’Occidente», con un giudizio complessivamente positivo su Tucidide. Piovan sottolinea che a questa osservazione il De Sanctis accompagna un’indagine non partigiana su Tucidide, al punto da sottolineare anche una serie di punti deboli dello storico greco (p. 68). De Sanctis mette in discussione l’accuratezza dello storico ateniese e gli nega il possesso dell’«obiettività assoluta», affermando che Tucidide possa avere indicato praticamente solo Nicia come colpevole del fallimento in Sicilia per difendere altri suoi compatrioti cui si sentiva legato (p. 62). Nel caso del capo democratico Cleone, al contrario, ci troviamo davanti al problema opposto, in quanto De Sanctis ritiene il giudizio di Tucidide troppo severo (p. 68). Per quanto attiene al rapporto con la Fortuna (Tyche) e gli dèi di Tucidide, che senza negare il suo impatto vede tuttavia sempre come centrale l’agire dell’uomo, De Sanctis è vicino spiritualmente allo storico greco, dato che crede alla Provvidenza divina ma senza trattarla come una parte in causa degli eventi umani, che invece devono essere indagati attraverso metodi scientifici (p. 74). Piovan osserva che De Sanctis condanna l’imperialismo, riconosciuto come responsabile di processi liberticidi, ma vede quello ateniese come un male minore rispetto alle feroci oligarchie filo-spartane (p. 74). Inoltre, diversamente da Momigliano, ritiene che Tucidide abbia descritto l’episodio tra gli Ateniesi e i Meli non per esaltare l’imperialismo ateniese, ma per condannarlo (pp. 64-65).
Ad Aldo Ferrabino il libro riconosce il merito di aver inserito Tucidide nel dibattito storiografico italiano degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, stimolando così anche il suo mentore De Sanctis ed il giovane Momigliano (p. 77). La lettura di Tucidide operata da Ferrabino è spesso troppo incentrata sul testo di Tucidide, non considerando il contraddittorio di altre fonti antiche e moderne, elemento che genera la reazione polemica di De Sanctis (pp. 77-78). Ferrabino risente di influenze “moderne”, come la filosofia di Giovanni Gentile, l’idea dello Stato forte e il principio della forza come motore della storia (p. 83-84). Quindi, nel conflitto tra Ateniesi e Meli dà ragione ai primi, in accordo con Tucidide. In quest’ultimo, Ferrabino vede un precursore di Machiavelli come maestro di quella che oggi viene definita come “Realpolitik”, ritenendo che il bene sia dalla parte della forza (pp. 85-86). Altro momento significativo dell’analisi di Ferrabino è la considerazione dell’unità nazionale come idea guida, da ciò derivava la sua visione relativamente pessimistica degli antichi Greci, cui viene mossa l’accusa di non aver saputo creare un equo compromesso tra individualità e universalità, incapacità che ha impedito loro di raggiungere l’unità nazionale a differenza dei Romani (p. 91), ed un disprezzo per gli aspetti mutevoli e incoerenti della democrazia ateniese (p. 84). Nella sua esaltazione della politica della forza e della romanità, Ferrabino è molto vicino al fascismo, cosa che Momigliano gli rimprovera (pp. 91-93).
Momigliano cerca di seguire l’esempio del filosofo Benedetto Croce, storicizzando Tucidide. Pur avendo appreso dal suo mentore De Sanctis un solido metodo filologico, la sua formazione filosofica lo spinge a desiderare una storia sottratta dalle angustie della filologia, enfatizzando lo studio del pensiero (p. 103). Il Tucidide momiglianeo prende spunto da quello ferrabiniano, ma è più rigoroso nella analisi critica del testo. Ne consegue un ritratto di Tucidide più storicamente accurato e umano. Il susseguirsi degli eventi, si può notare, condiziona l’evoluzione della storiografia di Tucidide, ed è necessario cogliere questi cambiamenti (p. 105). In anni successivi alla sua prima opera su Tucidide, Momigliano compie ulteriori riflessioni che lo portano a criticare Tucidide per aver colto solamente alcuni aspetti del problema storico, come i rapporti di forza, senza tenerne in considerazione altri come l’attenzione alle personalità e agli individui (p. 113). Momigliano, che aveva interpretato il dialogo tra Ateniesi e Meli (scritto a suo parere nell’immediatezza del fatto) come un inno all’imperialismo ateniese, fu contestato su questo da De Sanctis che invece lo riteneva una condanna dell’imperialismo ateniese (scritta dopo l’esito finale della guerra) (pp. 64-65).
Il saggio ha il pregio di mettere in luce diversi aspetti relativi alla figura di Tucidide, come la sua attualità per lo studio delle relazioni internazionali, la sua riscoperta da parte dello storicismo tedesco e successivamente da parte degli storici italiani, la dicotomia giustizia-forza del caso dei Meli, la fondazione di un metodo storico che aspira alla imparzialità ed al controllo delle fonti. Tutto ciò viene riassunto in relativamente poche pagine, approfondendo comunque i punti di vista del dibattito tedesco e italiano di fine Ottocento e inizio Novecento, in modo da suscitare l’interesse dei lettori.
Stefano Garlanda