Libri “politici”, libri e politica: l’editoria italiana nel Novecento tra engagement e cultura, Bookcity 2021

Report di Angelica Cremascoli

Ad aprire la prima giornata del ciclo d’incontri Bookcity alla Statale, nella mattinata del 18 novembre, l’evento che vede confrontarsi Irene Piazzoni (Università degli Studi di Milano), Fabio Guidali (Università degli Studi di Milano) e Elisa Rogante (Università di Bologna) sull’articolato tema della dimensione politica assunta dall’editoria italiana nel corso del Novecento, fil rouge che unisce i due volumi presentati in quest’occasione: Il Novecento dei libri. Una storia dell’editoria in Italia (Carocci, 2021) di Irene Piazzoni e Un libro per ogni compagno. Il PCI “editore collettivo” (Pacini, 2021) di Elisa Rogante.

«Quando si studiano i libri, che cosa si studia?» chiede Guidali, per innescare una riflessione che possa introdurre e inquadrare entrambi i titoli, nonché per porre in comunicazione diretta i due contributi. Un oggetto, risponde, l’oggetto-libro, e pertanto la sua materialità; il paratesto; il contenuto; autore, editore e contesto di produzione; la componente emozionale. Una fitta rete di domande di ricerca in cui rientra, per natura stessa del prodotto editoriale, anche la politica, intesa come i principi, le norme che orientano la nostra vita pubblica, e come dibattito sulla natura della società, sull’uso politico dei libri, a volte strumentale, e sulla loro funzione sociale, di educazione della cittadinanza. Tutti elementi che vanno a inquadrare, determinare e definire quello che è considerato il ruolo dell’editoria, di chi svolge una funzione pubblica nel ruolo di autore o mediatore editoriale, nel suo rapporto col contesto politico nel quale opera.

Come Guidali fa notare, a orientare la riflessione c’è un secondo nucleo d’indagine, posto in rilievo proprio dal titolo dell’evento: l’orizzonte cronologico, il Novecento, il secolo delle grandi ideologie, delle guerre mondiali, dello scontro tra la democrazia e una pluralità di forme di totalitarismo. Il momento in cui, da un lato, sul mondo editoriale s’impone l’urgenza delle questioni politiche e, dall’altro, la politica si nutre delle debolezze del settore per presidiare la produzione libraria. In questa cornice è la figura dell’editore intellettuale a emergere, a spiccare. Un protagonista che si accredita una funzione di tutela del pubblico, di supplenza di fronte a uno Stato distratto e a una scolarizzazione insufficiente, fornendo un «servizio pubblico», per citare Giulio Einaudi, nella forma di strumenti preposti alla crescita personale dei cittadini e al progresso sociale. I casi trattati in quest’occasione di confronto sono quello del partito-editore, portato da Elisa Rogante, caratterizzato da una produzione di propaganda, di formazione e indottrinamento politici, o di più ampia riflessione, e quello dell’editore puro che entra in contatto con la politica, supportando un progetto formativo, adeguandosi alle azioni di propaganda o proponendo, tramite i libri pubblicati, una serie di valori e inclinazioni culturali che rendono l’azione intellettuale e editoriale intrinsecamente politica, anche quando si dichiara neutrale.

Nel commentare Il Novecento dei libri. Una storia dell’editoria in Italia, Guidali enuclea alcuni esempi e approfondimenti che possano dare conto della varietà degli approcci esplicatisi nel corso del Novecento, a partire dal ruolo degli intellettuali legati alle riviste culturali, soffermandosi poi sulla figura dell’editore intellettuale che desidera valorizzare la cultura e, infine, su quella dell’editore culturale a prima vista distante dal discorso politico ma altrettanto protagonista nell’affermare e promuovere una propria posizione dialettica. Il primo esempio riguarda i vociani, che, all’inizio del secolo, intendono superare la cultura ottocentesca e scardinare il sistema politico giolittiano attraverso un’azione intellettuale e editoriale di rottura. «La Voce», rivista d’avanguardia creata da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini nel 1908, si presenta come un vero e proprio partito intellettuale, dai forti tratti antidemocratici, che giudica la classe politica italiana e che promuove un obiettivo intrinsecamente politico: rinnovare lo spirito della nazione. Per perseguirlo, Papini e Prezzolini decidono d’intervenire direttamente nella società tramite ciò che si scrive e si legge, in un impegno civile che passa anche attraverso l’attività di editore, con le due importanti ed emblematiche collane La libreria della Voce e Cultura dell’anima. Un’esperienza che dura fino alla seconda metà degli anni ’20 e che costituisce un modello editoriale militante con una forte caratterizzazione delle scelte culturali e politiche.

Il secondo esempio riguarda la casa editrice Einaudi, fondata da Giulio Einaudi nel ’33, in grado d’incidere profondamente sugli orientamenti culturali del Paese e di avere un vigoroso impatto sulla vita politica e intellettuale dell’epoca, sulla scorta di un catalogo dalla fisionomia precisa e riconoscibile, di un tratto identitario netto e deciso, che la porta a evitare l’erudizione fine a se stessa, andando invece incontro alle esigenze di un pubblico più ampio, e di un impegno politico che si acquisisce fisiologicamente insieme al ruolo di editore, e che si sviluppa aggiornando approcci e prospettive attraverso uno sguardo razionale sulla società e sulle sue strutture. Nei tre momenti oggetto d’approfondimento, la fondazione della casa editrice, col recupero dell’illuminismo come opposizione alla retorica fascista, il Dopoguerra, con una piena partecipazione nel rinnovamento democratico, la pubblicazione degli scritti gramsciani e la collana dei Saggi, e gli anni ’50, quando la vicinanza al PCI si tende in un rapporto di ripensamenti e rotture che produce la collana dei Libri bianchi, appare chiaro che Einaudi ha una personalità propria e può permettersi d’impostare il proprio discorso culturale, nonché il proprio impegno, con regole proprie, che sono anche regole di mercato, rappresentando uno spazio di discussione aperto e libero sull’attualità politica.

La terza modalità d’azione qui esposta è quella di Adelphi, fondata nel ’62 da Luciano Foà, ex segretario generale di Einaudi, iscrittosi al PCI nel ’47 ma allontanatosi dal partito in seguito ai moti ungheresi del ’56. Al contrario del progetto einaudiano, gli Adelphi, dal greco «fratelli», si rivolgono da subito a un pubblico a loro affine, mediante una linea editoriale che non include solo opere di filosofia (la pubblicazione dell’opera completa di Nietzsche è un «gesto eretico», una dichiarazione d’indipendenza e di novità rispetto all’ideologia marxista e illuminista), ma pure di religione, specie di tradizione orientale, e scienza. L’arrivo di Roberto Calasso nel ’68 segna un ulteriore scardinamento della rete ideologica di sinistra in favore del recupero di una visione diversa del mondo, attenta all’esistenza e alla psicologia individuale. Una visione che subisce una bordata d’attacco da sinistra negli anni ’70 e che porta alla nascita, nel ’73, della Piccola biblioteca Adelphi, una collana di libri dichiaratamente non politici ma che altrettanto dichiaratamente si sottraggono dal gioco delle ideologie, criticandolo. Segno che persino un’azione culturale in apparenza neutra può celare un tipo d’impegno, di verità. Nel complesso, quindi, Guidali ci accompagna, nel suo commento al Novecento dei libri, in una panoramica dimostrativa di come ogni editore ha il suo modo di relazionarsi col potere, con la politica e con l’impegno, gravitando in un’area d’intervento che non può essere scansata da nessuna impresa culturale.

A presentare il caso del partito-editore è la stessa autrice di Un libro per ogni compagno, ovvero Elisa Rogante, la quale si muove nell’arco di tempo che va dal Dopoguerra alla guerra fredda, indagando in particolar modo su tre aspetti dell’attività editoriale del PCI: la produzione libraria (includendo la storia delle case editrici, la ricostruzione dei cataloghi e del corpus delle opere pubblicate); i meccanismi di promozione e diffusione editoriale, e l’influenza dell’Unione Sovietica sull’attività editoriale nazionale. Il volume si divide, perciò, in quattro capitoli. Il primo, che affronta il periodo post-bellico (dal ’44 al ’47); il secondo, incentrato sulla crisi conseguente all’inizio della Guerra Fredda; il terzo, dedicato al circuito di diffusione dei testi del partito-editore, e il quarto, l’ultimo, in cui si affronta il case history dell’operazione editoriale più riuscita del PCI, ovvero la sigla Editori Riuniti.

Rogante parte dunque da un momento in cui il partito, dopo una lunga assenza dal contesto italiano, va incontro a una riorganizzazione totale, dimostrando urgenza e tempestività nel mettere in piedi un organismo di stampa la cui iniziativa più rilevante è la società editrice l’Unità e la cui produzione, in questa fase, corrisponde in modo massiccio a opere di propaganda. Un apparato che entra in crisi con l’inizio della Guerra Fredda, quando l’Unione Sovietica impone allo schieramento comunista un forte irrigidimento da opporre agli anticomunisti, e che cambia la propria politica culturale, allargandosi e specializzandosi con una produzione sia di tipo marxista, con testi di dottrina e propaganda finalizzati a educare politicamente il pubblico di riferimento, sia di tipo democratico, destinata alle masse popolari. I libri comunisti, tuttavia, faticano a uscire dalla cerchia del partito, motivo per cui, se da una parte diventa funzionale consolidare i rapporti con altri editori, intervenendo nella loro programmazione (come nel caso Einaudi), oltre che dar vita a nuove sigle al di fuori dall’apparato centrale, dall’altra s’impone la questione fondamentale di organizzare un circuito efficiente di diffusione dei testi, esigenza che porta alla costituzione del Centro diffusione stampa. All’inizio degli anni ’50 la politica del PCI si orienta verso l’analisi della realtà italiana e la nascita, nel ’53, di Editori Riuniti, tuttora in attività, segna l’ennesima svolta: il lavoro editoriale del partito si professionalizza e le varie strutture si rendono indipendenti dai dettami della politica, benché il loro profilo politico continui a essere preponderante.

A emergere da questa accurata ricostruzione, sottolinea Piazzoni in chiusura dell’evento, è il ruolo cruciale dell’editoria per la funzione culturale e politica del Paese, un fronte d’impegno che trasforma sì il libro in un’arma di propaganda e d’intrattenimento orientato, ma pure di riscatto e di emancipazione del proletariato. Libro che nutre in modo trasversale la cittadinanza, e che, anche indirettamente, vi fornisce linfa vitale, entrando nella sfera pubblica e nel patrimonio culturale della nazione.

Link all’evento: https://bookcitymilano.it/eventi/2021/libri-politici-libri-e-politica-leditoria-italiana-del-novecento-tra-engagement-e-cultura.