Orizzonti storiografici (prima edizione). “Studi recenti sul ventennio fascista. Un bilancio storiografico”, Milano, 16 febbraio 2023

Il 16 febbraio 2023 si è tenuta presso l’Aula crociera alta di giurisprudenza la prima edizione di Orizzonti storiografici. Libri sull’età contemporanea, seminario di discussione storiografica, promosso dal Dipartimento di Studi Storici, che ha avuto come tema Studi recenti sul ventennio fascista. Un bilancio storiografico.

Nell’incontro, organizzato da Massimo Baioni e Irene Piazzoni, sono stati presentati quattro volumi collettanei usciti nel 2022, in occasione del vivace dibattito che ha contraddistinto il centenario della marcia su Roma:

  • Fascismo e storia d’Italia. A un secolo dalla marcia su Roma. Temi, narrazioni, fonti, a cura di Giovanni De Luna, “Annali” Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2022, presentato dalla Prof.ssa Claudia Baldoli
  • Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, a cura di Gianfranco Pasquino, Treccani, Roma 2022, presentato dal Prof. Marco Cuzzi
  • Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni, a cura di Giulia Albanese, Carocci, Roma 2021, presentato dalla Prof.ssa Irene Piazzoni
  • Il fascismo nella storia italiana, a cura di Salvatore Lupo e Angelo Ventrone, Donzelli, Roma 2022, presentato dal Prof. Massimo Baioni

Rispetto ai molti saggi presenti nel volume degli Annali Feltrinelli, la Prof.ssa Baldoli sottolinea la presenza di tre grandi temi: violenza, modernità, memoria. La marcia su Roma si può ritenere il momento culminante di una strategia di lungo periodo basata sulla violenza, che caratterizza l’intero periodo che va dal 1920 al 1922, nel quale emerge la contesa con i socialisti per occupare le istituzioni amministrative. Si evidenzia la relativa facilità con cui i fascisti conquistano regioni con appoggi di diversi gruppi sociali, con il fascismo che emerge in periferia (come evidenzia il saggio di Valeria Galimi) generando terrore e panico mediante torture, pestaggi, incendi e omicidi che non risparmiano neppure le famiglie. Vi è un vero e proprio culto della violenza, elemento essenziale della mentalità squadristica e continuazione della vita in trincea. Non tutti gli storici sono d’accordo nel parlare di guerra civile: se John Foot è favorevole all’utilizzo di questa espressione, Luca Baldissara nega che nel periodo 1919-1922 si possa parlare di guerra civile per la differenza tra i tipi di violenza che si scontrarono (i militanti di sinistra ricorsero alla violenza in modo confuso e spontaneo). Pertanto, molti storici hanno preferito parlare di “frammenti” di guerra civile. La violenza è presente in vari ambiti, come sottolineato nel saggio di Valentina Pisanty sulla risata fascista che spazia tra squadrismo e comicità, a ben vedere le stesse foto di gruppo degli squadristi trasmettono virilità, comunità, ma anche gioia, il fascista è definito come “delinquente collettivo”.

Il secondo tema è quello della modernità, che si caratterizza sotto moltissimi aspetti richiamati nei vari saggi. Viene citata in primo luogo la campagna “antiborghese” che si radica nel 1938 e ha collegamenti con la figura dell’ebreo, riscuotendo un successo limitato. Il tentativo del fascismo di spingere verso la militanza attiva ha avvio sin dagli anni venti, come evidenziato nel saggio di Francesco Filippi, mentre Silvana Patriarca guarda all’attenzione del fascismo verso i corpi, che rinvia all’obiettivo di creare l’italiano nuovo. Particolare attenzione viene posta sul corpo del Duce, simbolo di virilità. Per quel che concerne la sfera femminile, il saggio di Alessandra Pescarolo evidenzia il sostegno alla maternità operato dal regime, con la riforma scolastica di Gentile che limita la possibilità per le donne di studiare talune materie nella scuola secondaria. Anche in ambito economico, i recenti studi hanno portato l’attenzione su progetti e realizzazioni con l’idea di prendere il fascismo sul serio, senza sminuirlo a priori. L’attenzione verte soprattutto sul rapporto tra mercato e fascismo. Per Alessio Gagliardi il ventennio non è un’anomalia ma un momento fondamentale nell’economia europea. Il tema viene affrontato anche da Emanuela Scarpellini, che pone l’attenzione in particolare sui consumi: se prima si pensava che fossero stati pressoché ignorati dal regime, ora si vede la complessità della questione, non c’è solo autarchia ma anche cinema, teatri, colonie.

Dopo un breve cenno al tema del fascismo internazionale, viene introdotto l’ultimo tema, quello della memoria. A tale riguardo viene richiamato il portale dell’Istituto Parri sui lasciti materiali del fascismo e il volumi I luoghi del fascismo (Viella), a cura di Giulia Albanese e Lucia Ceci. Giovanni De Luna guarda alle configurazioni dei movimenti reazionari di oggi, con l’utilizzo del termine “fascismo” ad indicare un pericolo sempre in agguato. L’imperativo per il fascismo è “durare” e il regime spinge così verso la costruzione di città nuove: Tommaso Baris parla di “memoria della bonifica” con il Duce costruttore di un’età nuova che rimane nel tempo. Massimo Baioni evidenzia come nelle mostre del dopoguerra il fascismo abbia uno spazio molto ridotto, che rinvia alla difficoltà di confrontarsi con i suoi lasciti, almeno fino a quando, negli anni Ottanta, il tema viene recuperato in termini che enfatizzano la modernizzazione del paese nel ventennio (esempio eclatante è la Mostra sull’economia allestita a Roma nel 1983). Interessante è il tema del rapporto diretto tra Mussolini e il popolo, con l’Archivio di Stato che ci restituisce appelli scritti da cittadini indigenti, quasi attribuendo al Duce delle qualità di.

Il secondo volume, Fascismo. Quel che è stato, quel che rimane, è stato presentato dal Prof. Marco Cuzzi. I 21 saggi contenuti al suo interno rappresentano dei punti fermi su vicende, movimento e regime fascista. Ciò che lascia il lettore un po’ a bocca asciutta è la parte su “quel che rimane”, che pur avendo il potenziale per essere la più stimolante ed innovativa occupa solamente il 10% dell’opera. Anche qui si tratta di un volume collettaneo, che unisce storici di chiara fama e giovani ricercatori, al cui interno il Prof. Cuzzi intravede 8 punti salienti: 1) i fattori che hanno portato al fascismo; 2) le diverse interpretazioni; 3) il movimento; 4) la presenza o meno di una ideologia; 5) la natura totalitaria del fenomeno; 6) la struttura e gli organi dello stato; 7) caduta e guerra civile; 8) ciò che rimane.

Parlando dei fattori che portano al fascismo, vi è una lettura comune sul forte legame tra fascismo e prima guerra mondiale (Croce parlava di “ubriacatura della guerra”) evidenziato da Marco Bresciani; un altro punto è la crisi dello stato liberale indicata da Piero Craveri. La classe liberale non comprende appieno il fenomeno fascista, limitandosi a parlare di “teste calde patriottiche”, con Simona Colarizi che condanna il sovrano come principale responsabile fino al 25 luglio del 1943. A tutto questo si aggiunge la paura della classe media che rischia di pauperizzarsi. L’ultimo passaggio è la mancata rivoluzione protestante, secondo la classica formulazione di Piero Gobetti, che non avrebbe reso maturo il liberalismo italiano.

Le diverse interpretazioni del fascismo partono dallo studio di Paolo Bagnoli, che richiama la tesi di Gobetti sul fascismo come “autobiografia della nazione”. La scuola marxista vede il fascismo come espressione muscolare, strumentale e contro-rivoluzionaria del capitalismo (anche se Togliatti si smarca parzialmente da questa visione), mentre Silone introduce le divisioni tipologiche del fascismo (dittature militari, statalismo conservatore, fascismo stretto). Salvemini vede il fascismo come raccolta estesa a classi inferiori e lavoratrici, mentre Volpe sostiene il fascismo come interpretazione delle masse popolari escluse dallo stato liberale. La storiografia recente parte da Ernst Nolte e la costruzione di un mondo nuovo, mentre De Felice introduce un prezioso lavoro d’archivio, accompagnato dal ruolo dei ceti medi, dal tema del “consenso” e dalla distinzione tra fascismo come movimento e come regime, fenomeno circoscritto nello spazio e nel tempo. Vi sono varie interpretazioni successive nate dalla metodologia di De Felice, Payne introduce la scuola comparatistica (studi sul fascismo come fenomeno trans-nazionale europeo).

Per quel che concerne il fascismo come movimento, Giuseppe Parlato analizza l’avanguardia, Prezzolini e “La Voce”. I movimenti non sono stati una fronda, il partito fascista dopo il 1925 non tiene più congressi, l’anima del “fascismo di sinistra” è sempre presente con Mussolini che utilizza gli “iper-fascisti” come Farinacci che vogliono la rivoluzione compiuta. C’è il mito del lavoro e del corporativismo, la corporazione generale dopo il 1927 viene unita in un unico organo, questa svolta è dettata da Mussolini che applica il metodo del divide et impera.

Il volume sostiene la presenza di una ideologia nel fascismo, la lettura principale è quella di James Gregor, sostenitore della cosiddetta “terza via” del fascismo. Emilio Gentile definisce il fascismo come ideologia totalitaria che richiede una rivoluzione antropologica. Nel suo saggio, Marco Tarchi parte dalla definizione di fascismo presente nella Enciclopedia Treccani (ad opera di Giovanni Gentile e Mussolini), è nemico del liberalismo (per la sua conversione all’individualismo), ma anche della democrazia (basata sull’egualitarismo) e del socialismo, sostenendo il primato della nazione sul popolo contro ogni forma di cosmopolitismo. La cultura vede una forte contrapposizione tra Gentile e Bottai, per Breschi il monismo di Gentile termina con i Patti Lateranensi, avviandosi una diarchia con il Vaticano, mentre per Bottai è il corporativismo l’elemento centrale dell’ideologia.

Per la maggior parte degli autori non è riscontrabile una natura totalitaria nel fascismo. Pasquino sottolinea come il fascismo vada considerato come autoritario (con elementi totalitari), si tratta di un compromesso che il fascismo attua con i poteri forti che rimangono separati (Monarchia, Chiesa).

Il consenso viene oramai riconosciuto universalmente, con la presenza di numerosi fiancheggiatori, è sintomatico come la burocrazia rimanga anche dopo il fascismo, con grande attenzione del mondo cattolico che accetta e fiancheggia. L’apice del consenso viene individuato nella Guerra di Etiopia, mentre quella di Spagna al contrario viene accettata con freddezza.

Marco Palla, nel suo saggio, descrive in maniera assai lucida gli avvenimenti del 25 luglio 1943 che porteranno alla caduta del fascismo. Il Consiglio viene convocato nel 1943 da Farinacci che ha come obiettivo quello di rafforzare il fascismo, non ha senso quindi parlare di “congiura” dei gerarchi, non vengono utilizzate funzionalità extra-istituzionali ma è il Re che toglie la delega a Mussolini.

Viene infine affrontata la grande tematica della guerra civile (1943-1945) e si evoca la resistenza plurale citando donne e partiti.

Il volume, pur essendo assai completo, presenta secondo Cuzzi alcuni temi non approfonditi. Un primo elemento è quello della politica estera fascista parallela, oltre all’analisi delle strutture collaterali e complementari del regime, la permanenza delle strutture nell’amministrazione repubblicana (problema della mancata epurazione), la giustizia selvaggia, l’importanza dell’esperienza di Salò nel neo-fascismo, i sistemi di controllo e repressione ed il fascismo nel mondo cattolico.

Il terzo volume, Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni, viene presentato dalla Prof.ssa Irene Piazzoni. È un’opera molto densa che fa il punto sulle ricerche recenti sul fascismo, mettendo in luce prospettive che indicano il fascismo italiano come fenomeno estremamente complesso. Non si trovano riflessioni sulle possibili continuità tra fascismo storico e neo-destre, né si affronta la questione dell’attualità, con gli studiosi che hanno visto mutare il senso delle loro indagini rispetto al momento iniziale, con il presente che orienta le direttrici di ricerca.

Sono ricostruiti i 13 strati fondamentali del fascismo, che occupano ciascuno un capitolo del volume: 1) squadrismo e repressione (Matteo Millan); 2) dalle colonie all’Impero (Valeria Deplano); 3) il fallimento militare del regime (Claudia Baldoli); 4) la classe dirigente del fascismo e la geografia del potere (Matteo Di Figlia); 5) Economia e fascismo (Bruno Settis); 6) fascismo e religione (Gabriele Rigano); 7) Scienza e società fascista (Angelo Caglioti); 8) i confini della comunità politica e il tema della cittadinanza (Roberta Pergher); 9) stato sociale (Ilaria Pavan); 10) fascismo e vita quotidiana nel regime (Joshua Arthurs); 11) educare o intrattenere (Alessio Gagliardi); 12) diventare anti-fascisti (Marco Bresciani); 13) non solo propaganda, il modello fascista all’estero tra il 1922 e il 1935 (Giulia Albanese).

I primi tre saggi vedono la triade violenza-colonialismo-guerra come uno degli assi e tratti identitari del fascismo; dal quarto al settimo saggio si affronta il tema dell’intervento del fascismo sulle strutture portanti del paese, con trasformazioni e ridefinizioni; dall’ottavo all’undicesimo saggio vengono trattati i rapporti tra fascismo e società; l’ultimo blocco vede uno sguardo internazionale. Vi sono alcune esclusioni su questioni già abbondantemente sviscerate nelle ultime ricerche, anche a causa del taglio del libro che vuole tenere insieme casi di studio e trattazione generale.

Le coordinate cronologiche vanno dalla marcia su Roma al 1943, l’esperienza di Salò non rientra nel quadro perché viziata dall’occupazione tedesca e dalla guerra civile. Nel saggio si trovano bilanci sulla storiografia del fascismo, ma si vuole superare la dicotomia tra studi sull’aspetto totalitario (Gentile) e quanti hanno insistito sulla continuità istituzionale e sul dualismo (Melis).

All’interno dell’opera è possibile individuare alcuni tratti comuni. Il primo è l’insistenza sulla convergenza tra filoni di ricerca che sono stati a lungo considerati separatamente (la dialettica colonie-territorio metropolitano nonché il superamento della sutura tra politica e scienza, oltre al tentativo di integrare la dimensione trans-nazionale con quella nazionale).

Il secondo tratto comune riguarda il consenso, che viene superato a favore di una visione complessa del rapporto tra fascismo e società. Tra il 1919 e il 1924 il fenomeno era libero e verificabile, mentre negli anni della dittatura non è misurabile, occorre mettere a fuoco la natura fluida dei rapporti tra fascismo e diversi ambiti della società, il quotidiano è un palcoscenico e gli italiani non erano solo spettatori del fascismo ma anche “artisti” che interpretano ogni giorno il progetto culturale fascista.

Il terzo tratto comune è la natura polimorfa del fascismo: il regime fu una compagine tutt’altro che compatta, con una pluralità di culture che vi confluiscono all’interno. Interessante è il fenomeno dell’osmosi tra partito e stato. All’articolazione interna corrispondevano le interpretazioni che del fascismo avevano le diverse categorie di cittadini, laddove nel fascismo convivono più generazioni.

Viene confermato e ribadito il valore periodizzante della marcia su Roma, e anche per il progetto coloniale gli anni venti sono essenziali per la formazione di una mentalità. Più complesso invece è il tema su continuità e discontinuità con la fase pre-fascista, i saggi tengono conto di una traiettoria di lungo corso, molto va attribuito alla novità politica, ma si insiste anche sulla radicalità della trasformazione introdotta dallo squadrismo. Manca al riguardo una riflessione sui problemi ideologici, il fascismo sembra una novità spuntata all’improvviso dalla guerra, e stupisce l’assenza di riferimenti a D’Annunzio, a futuristi e nazionalisti.

Interessante è il contributo di Roberta Pergher sul ruolo della cittadinanza e sull’appartenenza allo stato italiano: individuare chi fosse italiano andava al cuore del progetto fascista, che spesso basava i diritti non sulla cittadinanza ma su razza, etnia e religione. Sulla nazione come corpo è interessante il saggio di Bruno Settis, che dimostra come si puntasse alla trasformazione dello stato attraverso la trasformazione dell’economia. Tuttavia, gli esiti di questi progetti sono stati abbastanza fallimentari.

Sul tema dei media, Gagliardi vuole superare il concetto di propaganda come fabbrica del consenso e l’inconciliabile distanza tra propaganda e intrattenimento: per Irene Piazzoni le cose sono più complesse, non c’è una pacifica convivenza ma un controllo pervasivo del regime.

Il quarto e ultimo volume, Il fascismo nella storia italiana, viene presentato dal Prof. Massimo Baioni. È un libro strutturato in tre parti, con una organizzazione più agile rispetto ai volumi presentati in precedenza.

Nella prima parte, intitolata “i caratteri originali”, vengono ospitati i saggi dei due curatori, che mettono in risalto il mito dell’ordine nuovo (Lupo) e la costruzione di un uomo nuovo (Ventrone), soffermandosi sulla modernità del fascismo, con i caratteri originali che vengono indicati nella duplice tensione tra ordine e modernità.

La seconda parte, intitolata “Calendario”, contiene undici testi, ognuno dei quali dedicato ad una data significativa per la storia del fascismo: si va dalla marcia su Roma alla liberazione, passando per i Patti Lateranensi, la nascita di Iri e Inps, le leggi razziali fino ad arrivare alla caduta del regime.

C’è infine una terza sezione, intitolata “sentieri”, con approfondimenti su singole questioni: squadrismo (Di Figlia), apparati di repressione (Coco), partito unico tra centro e periferia (Baris), giovani (Dogliani), donne (Casalena), dal fascismo ai fascismi (Pasetti), antifascismo (Verri).

La struttura è chiara ma non priva di complessità, chiede al lettore di far dialogare diversi saggi e stabilire connessioni, è una scelta selettiva sia nei temi che nei soggetti di indagine. La decisione di far ruotare la parte centrale del libro attorno a delle giornate ricorda il ritorno all’evento riscontrabile nella storiografia degli ultimi decenni, come una sorta di espediente narrativo ritenuto più efficace per la comunicazione.

Il titolo del volume rinvia a una riflessione classica ma sempre attuale, ossia la collocazione del fascismo nella storia nazionale e i rapporti con l’Italia liberale e quella repubblicana, con la possibilità di vedere nel ventennio dei caratteri che vanno ben oltre quel periodo storico e aiutano a comprendere alcuni caratteri costitutivi dell’Italia attuale. La proposta che viene dal volume è resa esplicita dai due saggi introduttivi dei curatori. L’obiettivo di Ventrone, che si riallaccia al suo volume La seduzione totalitaria (2003), è dimostrare che già nella Grande guerra queste trasformazioni andavano in una certa direzione: secondo Baioni, in questa tesi vengono forse anticipati in modo troppo netto esiti successivi che non possono darsi per scontati. La nuova politica per entrambi ha origine dalle domande poste da guerra e dopoguerra in una società attraversata da conflitti e lacerazioni. Fascismo e Mussolini coniugano rivoluzione e nazionalismo, riempiono il vuoto aperto dalla crisi dello stato liberale, instaurano un legame con le masse che mescola ambiguamente la difesa di precisi interessi con una mobilitazione ideologica inedita.

Lupo delinea i caratteri di questa nuova cultura politica, sottolineando come Mussolini continui a delineare gli spazi della rivoluzione senza lasciare campo libero ai suoi più intransigenti sostenitori.

Sono ben segnalate nel volume divisioni, contraddizioni interne, scarti, accelerazioni che spingono sul tasto del colonialismo e del razzismo: emerge per Lupo una progressiva contraddizione interna tra anti-partito e iper-partito, a sua volta Ventrone ricollega il fenomeno dell’uomo nuovo alla trasformazione che caratterizza la cultura italiana tra ottocento e novecento. L’uomo nuovo per Ventrone non è concepibile fuori dalla terrificante officina della grande guerra, anche se i movimenti di destra non puntano a creare profili totalmente inediti, ma a recuperare e rinnovare i caratteri originari del passato.

Vi sono implicazioni di più lungo periodo, nessi col passato, eredità lasciate all’esperienza repubblicana soprattutto sul tema delle politiche economiche e sociali del regime: si nega che si possa parlare di stato imprenditore prima degli anni cinquanta o di stato sociale, il sistema di protezione sociale del regime per D’Antone e Giorgi assomiglia a un “mantello di Arlecchino”.

Melloni sottolinea l’importanza dello sguardo all’indietro richiamando l’incontro tra Chiesa e fascismo e la vulnerabilità della Chiesa: è decisiva la campagna di repressione del modernismo di inizio secolo ad opera di Pio X, ne esce un clero incapace di una lettura consapevole della società.

Vengono sottolineate le tensioni interne del ventennio che investono potere, società, economia, organizzazione dei giovani, cultura, burocrazia. Mussolini si trova a mediare tra le varie posizioni, le usa e le sfrutta secondo le esigenze politiche del momento, non esita a metterle in competizione.

Nella fase conclusiva del regime la varietà delle posizioni interne viene richiamata da Nicola Labanca che invita a sottrarre il 25 luglio ad una lettura di mera cospirazione interna al fascismo per cogliere il senso di una frattura sulla quale incidono monarchia, forze economiche, movimenti anti-fascisti, mentre manca stranamente il riferimento alla Chiesa.

Cassata affronta le leggi anti-semite: il ragionamento è interessante e tiene insieme anti-semitismo, razzismo, politiche eugenetiche e nataliste, ritenendo che l’approdo del 1938 sia coerente con le affermazioni che Mussolini fa sin dal 1922, anche se da questo punto Baioni ritiene dai discorsi di Mussolini si possono estrapolare visioni tutt’altro che lineari.

Alcune considerazioni generali vengono dal confronto con altre opere collettive degli anni Novanta (ad esempio Il regime fascista. Storia e storiografia). I volumi attuali dialogano con la storiografia precedente ma se ne distaccano per una minore compattezza di scuola e un uso meno condizionato di alcune categorie, anche grazie a ulteriori decenni di ricerche ed ai cambiamenti della società.

Il libro è frutto di una selezione di eventi e date, sul piano tematico c’è poca importanza riconosciuta alle zone di confine, tema di grande attenzione nella storiografia attuale. Un potenziale vuoto da colmare è l’attenzione all’universo ideologico del fascismo e alla sua declinazione in tema di storia degli intellettuali, della scuola, delle istituzioni culturali.

Per Baioni, in conclusione, non va trascurato qualche rischio di regressione storiografica: la comprensibile risposta etico-civile rispetto al rigurgito di tensioni autoritarie e xenofobe non deve compromettere il senso profondo di 50 anni di ricerca storica. Nel caso del fascismo è doveroso tornare a riflettere analiticamente sulla dimensione della violenza e del linguaggio, della repressione e della discriminazione, dello svuotamento delle istituzioni liberali: rimane un po’ sacrificata la parte relativa alla mobilitazione della società, non si può tornare ad una interpretazione che separi i crimini dai caratteri moderni del fascismo, dal rapporto con la società di massa, entrambe queste dimensioni sono necessarie per comprendere il fenomeno, questo duplice livello di articolazioni è il lascito più significativo di questa stagione di ricerche.

Alla presentazione dei quattro volumi ha fatto seguito un vivace dibattito, moderato dal Prof. Baioni. Il primo ad intervenire è il Prof. Matteo Pasetti (Università di Bologna), il quale mette in evidenza alcuni nodi fondamentali tra i quattro volumi, sottolineando le tensioni interne e i diversi livelli di continuità dello stato italiano. Alcuni temi fondamentali per Pasetti sono: il nesso tra fascismo e prima guerra mondiale (imprescindibile per capire la nascita del fascismo); la violenza come fattore strategico e identitario nel fascismo; la collocazione del fascismo italiano all’interno della storia europea (emerge poco nei volumi presentati); il totalitarismo.

Il secondo intervento è del Prof. Giovanni Scirocco (Università di Bergamo), il quale sostiene come i volumi presentati confermino la ricchezza della storiografia sul fascismo. Il linguaggio di molti autori è diverso da quello della generazione precedente, formata su una generazione di studiosi a sua volta diversi, tenere tutto insieme non è semplice. Viene raccontata la genesi de Il fascismo giorno per giorno, libro a cura dello stesso Scirocco, nato da due spunti: Nazionalfascismo di Luigi Salvatorelli e la corrispondenza tra Salvemini e Gaetano Arfé. Nella sua opera Scirocco usa vari tipi di documenti, con l’emersione del ruolo della prima guerra mondiale e dell’interventismo, questa importanza data alle dinamiche dell’intervento è condivisa da antifascisti e fascisti. Un altro tema importante riguarda la categoria del consenso, viene ricordato il carteggio tra Furio Diaz ed Antonio Giolitti, due persone che si sono formate negli anni del consenso.

Il terzo intervento è quello del Prof. Pompeo D’Alessandro (Università di Milano), il quale esprime apprezzamento per l’analisi dei quattro volumi in quanto rappresentativi delle attuali tendenze della storiografia italiana. Viene espressa la necessità di rileggere il fascismo in un arco di lungo periodo, inserendolo dentro la storia d’Italia (Ventrone e Lupo fanno esplicito riferimento nella premessa sulla necessità di ragionare su continuità e discontinuità). Rispetto al periodo liberale, emerge l’incapacità della classe dirigente di costruire uno stato effettivamente liberale, con la continuità tra stato liberale e fascista che va vista nell’ispirazione autoritaria della legislazione liberale, il fascismo va letto in un’onda lunga che parte dallo Statuto Albertino (1848). Negli ultimi 15 anni il fascismo è stato analizzato con diversi approcci, in precedenza prevaleva una interpretazione politica del fenomeno su cui si va ad innestare una lettura culturale. L’ultimo aspetto sollevato da D’Alessandro è quello metodologico, c’è una tendenza ad andare oltre rispetto alle chiavi interpretative del passato tra chi ha focalizzato l’indagine sulla narrazione e sugli aspetti totalitari e chi sugli apparati, le istituzioni e su come la società ha interagito con il fascismo.

Seguono ulteriori interventi, segno del vivace dibattito generato dall’incontro. La Prof.ssa Valeria Sgambati (Università di Milano) richiama i criteri elaborati da Hannah Arendt per considerare il fascismo all’interno della categoria del totalitarismo (simbiosi tra partito unico e stato, uso intrecciato di una ideologia palingenetica radicale insieme al terrore), indicando come nel dibattito storiografico degli ultimi anni vi siano notevoli filoni di convergenza (centralità della prima guerra mondiale, fascismo come giano bifronte, problema del consenso e rapporto centro – periferia). Il Prof. Nicola Del Corno (Università di Milano) ricorda come la prima vittima del fascismo sia stata una donna, Teresa Galli, sottolineando la mancanza nei volumi dell’interpretazione del fascismo come questione generazionale proposta da Alberto Cappa. Il Prof. Antonino De Francesco (Università di Milano) si interroga su come costruire un unico volume partendo dai punti di forza di tutti.

La Prof.ssa Maria Luisa Betri (Università di Milano) evidenzia l’utilità dell’incontro e l’ampia panoramica sull’avanzamento degli studi in materia, sottolineando però come negli ultimi anni si assista ad una sorta di corsa alla pubblicazione con l’effetto di inflazionare il mercato, anche a causa di una vera e propria ossessione per gli anniversari. Nei prossimi anni sarà molto importante spostare l’attenzione sul periodo della Repubblica Sociale Italiana. In aggiunta, dai volumi emerge scarsa attenzione rivolta a cultura e società, oltre al rapporto tra fascismo e scienza.

Prendono infine la parola i relatori della mattinata, per aggiungere alcuni punti. Secondo il Prof. Cuzzi la questione più importante da esaminare è il “cosa è rimasto” del fascismo (aspetto non curato a dovere nei volumi), oltre al tema della transnazionalità. Ulteriore punto di attenzione è il tema di liquidare Salò come un mero fenomeno collaborazionistico, mentre i giovani post-fascisti dopo il 1947 sembrano trarre la propria ispirazione più da questa esperienza che dal ventennio (l’unico studio degno di nota al riguardo è quello di Luigi Ganapini).

La Prof.ssa Baldoli torna sul tema della violenza, sottolineando come il mantenimento di una posizione contraria al regime mettesse a serio rischio non solo l’individuo, ma anche la famiglia di appartenenza. Sul tema della famiglia c’è un filone di studi molto approfondito sulle politiche del fascismo per le famiglie, oltre alla questione demografica.

La Prof.ssa Piazzoni infine torna sulla proposta del “volume unico” avanzata da De Francesco, indicando come possibile progetto quello di una storia ideologico-culturale della cultura reazionaria, oltre a quello della costruzione di una storia d’Italia durante il fascismo per rendere conto dei fenomeni che prescindono dal fascismo (ad esempio il ruolo delle campagne e delle province).

Francesco Taricone