Chiara Frugoni, Donne medievali. Sole, indomite, avventurose, il Mulino, Bologna, 2021

Chiara Frugoni (1940-2022), ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa e di Roma Tor Vergata; è stata inoltre un’apprezzata divulgatrice e le sue opere sono state tradotte in varie lingue. I suoi interessi di ricerca hanno riguardato in particolare la figura di Francesco D’Assisi, al quale ha dedicato diversi libri, e la storia delle donne nel medioevo, ambito nel quale si colloca il volume oggetto di questa recensione. Medievista attenta non solo alle fonti narrative ma anche iconografiche, Frugoni fa dialogare costantemente le diverse tipologie di fonti – biografie, cronache, opere letterarie, carteggi, miniature, affreschi – per restituirci donne colte nella loro umanità, tra sofferenze e difficoltà ma anche potere, successo, competenza, con uno stile di scrittura scorrevole e partecipato, venato talvolta di un’ironia garbata. L’arco cronologico è molto ampio e copre tutto il medioevo, dal VI al XV secolo, attraverso alcune peculiari figure di donne che escono dall’ombra che avvolge il mondo femminile.  L’edizione del volume è curata, con carta patinata che valorizza le moltissime immagini riprodotte e che costituiscono parte integrante del saggio, il quale è articolato in sei capitoli ed un prologo ove se ne delinea il contenuto: nei primi due capitoli è illustrato il contesto culturale generale, la condizione femminile e l’ideologia del tempo nei confronti della donna; i restanti quattro sono dedicati a cinque casi di donne che emergono nonostante tutto, ciascuna con le proprie particolari caratteristiche.

Nascere donna nel medioevo non era una buona sorte, soprattutto nelle classi più elevate; la donna era uno “strumento” per creare alleanze o consolidare patrimoni attraverso il contratto matrimoniale, senza poter esprimere la propria volontà. Destino migliore poteva essere la vita monastica: la donna non correva i rischi del parto, non era maltrattata e soprattutto poteva disporre di una biblioteca e studiare. Nei ceti bassi, ove non c’erano patrimoni da tramandare o questioni politiche, era possibile avere qualche possibilità di scegliere. In quest’opera Frugoni indaga in particolare il destino di donne provenienti da ceti superiori.

Nel primo capitolo l’Autrice tratta del matrimonio: mai scelta della donna, spesso data in sposa dalla famiglia giovanissima e il cui dovere è quello di generare figli; passa dalla sottomissione al padre a quella al marito al punto che le viene negato anche il proprio nome (sempre figlia di…, moglie di…). Frugoni illustra con esempi questa condizione: sul frontespizio della Bibbia di Carlo il Calvo il re è raffigurato assieme a due dignitari, la moglie e una dama; nell’iscrizione dedicatoria il nome della moglie (alla quale si augura numerosa prole) non è menzionato. In una tavoletta di avorio del X secolo che rappresenta la famiglia imperiale ai piedi di Cristo è ricordato solo il nome di Otto imperator, moglie e figlio restano anonimi. Seguono altri esempi di donne in ombra: l’arazzo di Bayeux dove sono presenti 632 personaggi maschili e solo 6 femminili e in situazioni inermi, l’iconografia tradizionale della strage degli innocenti che rappresenta solo madri sempre impotenti e disperate e mai un padre che difenda i figli.

Il secondo capitolo è dedicato alla misoginia della Chiesa ed alla sua influenza sulla società. Frugoni ricorda che esistono due diversi racconti di Genesi relativi alla creazione degli uomini ma la tradizione si è soffermata sul secondo, ove la donna è indicata sottomessa all’uomo (mentre nel primo leggiamo: «Dio creò l’uomo a sua immagine […] maschio e femmina li creò», p. 52). Richiama le parole di Paolo che con la sua autorità condiziona negativamente la figura femminile nei secoli: le donne non parlino e non insegnino, siano sempre subordinate all’uomo; in realtà nel Vangelo Gesù è vicino alle donne e si rivolge loro in più di un’occasione in dialoghi di carattere teologico.

Incontriamo poi le figure di Eva, Maddalena e Maria. La prima è colpevole di trasgressione (il serpente tentatore è raffigurato con testa di donna in molte riproduzioni dell’episodio biblico) e da lei discendono tutti i mali del mondo. Maddalena è trasformata dall’autorità di Gregorio Magno nella peccatrice pentita (mai detto nel Vangelo ma nei secoli è l’iconografia più diffusa). All’opposto Maria, la madre: vergine, concepita senza peccato, assunta in cielo; la si può pregare, certo non riconoscersi in lei.

Il monastero è l’«isola felice». Nonostante entrate giovinette non se ne esca più, qui le donne possono esprimere le loro inclinazioni: per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione devono imparare a leggere, scrivere, studiare. Non a caso molte donne di spiccata personalità sono monache: copiano e illustrano manoscritti, ma anche li scrivono e li compongono; badesse che decidono in autonomia, che si relazionano con re e papi.

Nel terzo capitolo viene presa in esame Radegonda (VI secolo), figlia del re turingio sconfitto da Clodoveo, disputata come bottino di guerra dai suoi giovani figli e presa in sposa dal vincitore Clotario I per facilitare l’annessione della Turingia. Interrompe il matrimonio per diventare monaca, già famosa al suo tempo; Frugoni passa in rassegna le diverse biografie della regina-monaca pervenuteci, due narrative (una scritta in latino da Baudonivia, sua consorella: una donna che scrive di un’altra donna!) ed una iconografica, restituendoci la sua personalità sotto diverse angolature: è stata regina e mantiene una forte influenza politica ma è anche una donna colta, scrive in versi, capace di grande affettività per le sue monache, fa miracoli ai laici… insomma, personalità e talento.

Il quarto capitolo è dedicato a Matilde di Canossa (XII secolo) e alla papessa Giovanna. Matilde, cresciuta in un mondo violento, lascia il marito Goffredo il Gobbo e si rifugia presso la madre venendosi a trovare nel mezzo dello scontro tra Impero e Papato. Donna ricca e potente, comunque vittima dei pregiudizi misogini nonostante la capacità dimostrata da lei e sua madre di amministrare i loro estesi domini, viene restituita alla sua dimensione politica. Dopo un secondo disastroso matrimonio, si dedica a soccorrere non la Chiesa, ma singole chiese e monasteri con elargizioni. Frugoni va oltre lo stereotipo che si insegna a scuola per rivelarci le debolezze e le sofferenze della donna.

La papessa Giovanna, personaggio letterario mai esistito, per tre secoli (XIII-XVI) creduto e fatto credere vero da uomini ostili, spesso uomini di Chiesa; Chiesa che fin dall’inizio ha escluso le donne dal ministero sacerdotale. Una donna travestita da uomo eletta pontefice, scoperta perché colta dalle doglie del parto (e subito fatta morire) rappresenta un oltraggio ed uno scandalo ed incarna, secondo la Chiesa, tutte le qualità negative di una donna che ha osato competere con il sapere maschile e ha varcato il confine proibito del sacro. Anche se non manca una versione della storia più favorevole alla papessa: non subito morta, ma pentita e penitente in monastero tumulata con onore e autrice di miracoli.

Christine de Pizan (XV secolo) è protagonista del quinto capitolo.Nata a Venezia e trasferitasi in Francia con la famiglia, riceve dal padre scienziato una buona istruzione. Rimasta vedova e povera si trova nella necessità di provvedere ai tre figli piccoli e alla madre. Dopo gravi difficoltà Christine dà una svolta alla sua vita: diventa una scrittrice e si conquista uno spazio di lavoro proprio dirigendo uno scriptorium. Adotta un semplice abito blu con un velo bianco e così la troviamo sempre rappresentata. Frugoni si sofferma su Le livre de la Cité des Dames, la sua opera più importante, ripercorrendone il contenuto con l’ausilio di molte immagini.

E infine Margherita Bandini Datini (XV secolo), sposa di Francesco, ricco mercante di Prato con interessi nelle principali città italiane ed europee, sempre in viaggio e sempre al lavoro. Margherita è spesso sola: non può avere figli e la sterilità è vissuta con dolore da entrambi i coniugi (Francesco avrà figli illegittimi da altre donne; Margherita ne accoglierà in casa una con la madre, Ginevra, che adotterà). È lei a dover sovrintendere a tutte le attività domestiche e agli interessi economici e politici locali del marito; i due coniugi si scambiano innumerevoli lettere (delle quali 268 di Margherita e 250 di Francesco giunte fino a noi) contenenti informazioni sulla gestione della casa e scambi di direttive per le diverse attività. Margherita, donna molto intelligente, per corrispondere col marito senza l’aiuto di scrivani impara la scrittura mercantile (ben diversa dai libri di preghiere sui quali la madre le aveva fornito i primi rudimenti) e poter così svolgere il proprio ruolo in piena efficienza ed autonomia. Dall’analisi del carteggio Frugoni fa emergere la figura di una donna dalle notevoli doti umane e morali, brillante, energica, capace, consapevole del proprio valore, che ha saputo andare oltre la sofferenza personale dando valido supporto al marito il quale, pur essendole molto affezionato, spesso non le risparmia rimproveri.

Il volume coglie l’intento di delineare la condizione delle donne medievali, dimostrando che nonostante il (presunto) silenzio delle donne e sulle donne, è possibile rinvenire le loro tracce e ricostruire la loro storia, comprendere come erano considerate e trattate; e anche che alcune sono state in grado di superare gli ostacoli, i pregiudizi, i ruoli che la società imponeva loro, per esprimere la propria individualità e i propri talenti, lasciando importante testimonianza di sé. È un terreno che offre ancora molti spazi da esplorare per restituire alle donne, «la metà sprecata», voce e presenza nella storia.

Flavia Moretti