Jacopo Tomatis, Storia culturale della canzone italiana, Il Saggiatore, Milano 2019

Storia culturale della canzone italiana, edita da Il Saggiatore nel 2019, è un imponente volume di 800 pagine scritto da Jacopo Tomatis, professore di storia e fenomenologia della popolar music presso l’università di Torino. Quest’opera, oltre alle 600 pagine di testo, comprende una vasta bibliografia (pp. 711-749) e un’articolata discografia (pp. 751-781). Con questo saggio, l’autore tenta di dimostrare il valore storiografico della propria trattazione, partendo da una nuova riflessione sulla storia della canzone italiana. La trattazione dell’argomento prende spunto dalle prime espressioni del canto napoletano della prima metà dell’800, concludendo il percorso con il fenomeno odierno della trap italiana.

Tomatis lega la categoria di “canzone italiana” al contesto storico del secondo dopoguerra ed evidenzia il suo svilupparsi dentro o in contrasto con i sistemi culturali italiani esistenti. L’autore intende studiare, quindi, la canzone come un oggetto complesso e comprensibile solo attraverso uno studio intermediale (tramite la diffusione nei media della canzone italiana), ovvero non rivolgendo l’attenzione esclusivamente alla storia della musica in quanto corpus musicale, ma alla storia della canzone come l’insieme delle pratiche musicali che la riguardano. Proprio per questo motivo, lo studioso si concentra – oltre che sull’evoluzione diacronica dei generi musicali – su come la cultura abbia pensato la popolar music, sul ruolo della canzone nel dibattito culturale e su come esso sia mutato nel tempo. L’autore, proprio per questo, inserisce nella propria trattazione tutte le manifestazioni musicali – anche quelle meno studiate, come la popular music o il rap – ponendole all’interno di un coerente contesto storiografico. Lo storico si propone, in ultima analisi, di studiare come nel tempo si siano costruiti dei giudizi di valore sulla musica italiana: l’aspetto socio-culturale è infatti una problematica presente per tutto il corso dell’opera.

Di particolare interesse risulta essere il rapporto tra gli intellettuali e la canzone italiana: Tomatis evidenzia come l’intellighenzia italiana nutra un certo pregiudizio per la canzone e come si sia divisa tra coloro che osservano in modo disinteressato il fenomeno e coloro che provano un profondo astio. Queste posizioni hanno portato, così, o a considerare la canzone come una guilty pleasure, o alla distinzione tra una bella musica e una brutta musica.

A contrastare questa visione, il volume denota la presenza di un gruppo di intellettuali alternativo che non concorda con queste posizioni. Tra i vari esponenti di questo gruppo, il più interessante risulta essere Umberto Eco, il quale, in due lunghi articoli usciti su “Rinascita” e su “Sipario” nel 1963, propone una nuova lettura culturale della canzone. Il filosofo parte dal presupposto che l’intellettuale non debba opporsi o snobbare la canzone di consumo, ma comprendere i motivi per cui esiste questo fenomeno di massa. Eco, inoltre, dimostra che non tutte le canzoni siano uguali, ma ne definisce alcune come “diverse” o “nuove”. L’intellettuale legittima la “canzone diversa” che, nonostante sia un prodotto musicale di massa e per la massa, per un breve momento diventa un’occasione di sosta e di riflessione per l’individuo. In seguito alla riflessione di Umberto Eco, si svilupperà una linea di pensiero che porrà proprio la canzone all’interno di un più vasto dibattito culturale e sociale.

Uno degli aspetti più interessanti dell’opera è lo studio che Tomatis compie sul concetto di canone. Il canone musicale, in questo caso, viene inteso come un insieme di forme che permettono di definire un determinato genere musicale, come dimostra l’analisi di quello che può essere considerato un caso iconico: il canone nato con il Festival di Sanremo. Questo modello è riconoscibile per una musica che si rifà al canto lirico, utilizzando anche un lessico appartenente all’italiano colto e applicando tematiche come l’amore ideale e l’appartenenza nazionale. In breve tempo, la canzone del Festival di Sanremo diviene, per l’immaginario collettivo, manifestazione dell’idea nazionale.

Tomatis indaga il formarsi di vari canoni della canzone italiana e di particolare interesse risulta lo studio, prima della figura del cantautore e, in seguito, della canzone d’autore. Nel panorama musicale italiano questo fenomeno rappresenta una novità che in poco tempo porta le testate giornalistiche specializzate a formare un canone molto preciso, che pone le sue basi sull’autorialità del testo. Negli anni ’60 il modello del cantautore viene identificato con “colui che scrive delle canzoni su tematiche considerate autentiche”. In particolare, nei testi, si denota una visione più realistica per i temi amorosi, arrivando a descrivere anche il dolore per l’amore perduto. Questa figura si contraddistingue anche per lo stile musicale essenziale, che alle volte può ridursi anche all’utilizzo della sola voce accompagnata dalla chitarra. Negli anni ’70, il canone subisce dei mutamenti: il cantautore diviene colui che scrive le “canzoni d’autore”; si passa dalla trattazione di temi prettamente personali alla tematizzazione del mondo politico; il testo diventa una canzone di protesta e il cantante diviene una figura impegnata. Un ultimo punto che contraddistingue il canone è il legame con la poesia: i cantanti vengono spesso paragonati a dei contemporanei trovatori medievali, che accompagnano la propria poesia a un sottofondo musicale.

Tomatis pone una criticità per quanto riguarda i canoni: egli, prendendo in considerazione due elenchi di riviste musicali, evidenzia come l’appartenenza o meno al genere di cantautore sia discrezionale (ne è un esempio l’esclusione negli anni ’70 di Lucio Battisti dal genere). Lo storico sottolinea che, in questo caso, la creazione del canone non si concentra su un’effettiva autorialità della canzone, bensì su una ideologizzazione della categoria di autorialità. Questo fa sì che, inizialmente, la categorizzazione all’interno o meno della categoria di “canzone d’autore” venga lasciata al giudizio dei singoli operatori culturali.

La folk music italiana rappresenta un ulteriore aspetto peculiare del canone: per la sua caratteristica popolare, infatti, non riesce a creare un modello stabilito una volta per tutte. Questa mancanza è evidente proprio dalla nascita di diverse visioni sulla musica folk che prendono il nome di “linea verde”, “linea gialla” e “linea rossa”. Dall’acceso confronto tra queste visioni non nascerà mai una sintesi che conduca alla formazione di un canone definito.

Al termine della trattazione, risulta molto interessante la riflessione che Tomatis offre nella propria introduzione: «così come la canzone non è la musica di sottofondo di un’epoca, anche i discorsi sulla canzone significano solo in relazione al contesto in cui avvengono, e alle persone che li fanno. Essi ci “parlano” e, se li sappiamo ascoltare, ci dicono più di quello che sembrano dire. Ancora una volta non si parla “solo” di musica» (p. 28).

Riccardo Simoncelli