Lorenzo Pezzica, L’archivio liberato: guida teorico-pratica ai fondi storici del Novecento, Editrice Bibliografica, Milano, 2020.

Il saggio oggetto di questa recensione è curato da Lorenzo Pezzica, docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia nonché archivista presso la Fondazione Carlo Maria Martini e presidente di ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana).  

Strutturato in sei capitoli, il volume è accompagnato da un’introduzione di Federico Valacchi. Tema oggetto della ricerca è l’analisi degli archivi storici del Novecento sia fisici sia digitali, e una riflessione sui compiti degli archivisti con l’obbiettivo di rendere, agli occhi del lettore, un’immagine più dinamica dell’archivio e della sua funzione di conservazione. Analizzando il testo, Pezzica argomenta e discute gli stereotipi dell’archivio: nell’immaginario comune sono infatti pensati come luoghi polverosi o simboli del potere. Lo studioso si sofferma su quanto gli archivi vengano danneggiati da questi stereotipi e indica quali soluzioni, a suo parere, possono essere attuate per rimuoverli, a cominciare da una migliore comunicazione. Si concentra anche sul ruolo dell’archivista e sul binomio ordine-disordine che è presente all’interno degli archivi analizzando, e criticando, la poca attenzione da parte delle istituzioni verso gli archivi e il loro rapporto e approccio verso la tecnologia digitale che, se utilizzata e adattata alle capacità e alle funzioni degli archivi, premettono ad essi di essere molto più efficaci. In merito alla tecnologia digitale viene affrontato il problema della conservazione del digitale e dell’obsolescenza tecnologica, ma anche l’approccio da parte degli archivisti nei confronti di esso mostrando come, nell’ambito dei beni culturali, la sfida del digitale rimane ancora un tabù e di come ci sia ancora, da parte del personale archivistico, una maggiore tendenza all’uso del formato analogico.

Viene anche menzionato come esempio di interazione, integrazione e approccio verso il digitale, l’Archivio digitale Carlo Maria Martini dell’omonima fondazione, che ha come obiettivo la promozione, il ricordo e la diffusione della figura del cardinale e lo fa anche attraverso il digitale, che viene ritenuto uno strumento fondamentale per lo svolgimento dell’attività della fondazione: «il progetto ha come obiettivo principale quello di promuovere la memoria e l’attualità della figura del Cardinale attraverso la realizzazione di un’aggregazione digitale che raccolga e metta a disposizione i documenti di e su Martini -sia quelli che si trovano fisicamente in Fondazione, sia quelli acquisiti in formato digitale. Questo è reso possibile da un costante lavoro di ricerca e della collaborazione dei privati, degli enti e delle istituzioni che questi documenti posseggono e conservano, nel rispetto dei contesti istituzionali di produzione e delle provenienze».

Vengono inoltre menzionati gli invented archives, definiti così da Roy Rosenzweig, che secondo l’autore possono essere il risultato di una ricerca storica della documentazione e ovviamente disponibile sul web.

Importante spazio viene dedicato alla Public History e al suo rapporto con il mondo archivista che, per l’autore, ha risposto in modo molto positivo ad un approccio con essa poiché ne ha riconosciute le metodologie, gli strumenti e le finalità. Secondo Pezzica queste ultime sono simili a quelle praticate dagli archivisti. Si argomenta come il punto di incontro tra la Public History e il mondo archivistico sia proprio l’attenzione al rapporto e l’interazione con il pubblico, qualunque esso sia. Essa viene elogiata in quanto strumento importante per la conoscenza e valorizzazione del patrimonio documentario, specialmente gli archivi del ‘900, uno dei temi fondamentali del libro, e l’incontro e collaborazione tra archivisti e storici. Secondo Pezzica la Public History si lega al mondo archivistico grazie alla costruzione e creazione di archivi dal contenuto storico che possano creare altra storia utilizzando la shared historical authority tra archivisti (storici) e pubblico.

Pezzica analizza anche il rapporto tra Public History e archivi in materia di digitale, sottolineando come la prima permetta il processo di digitalizzazione della documentazione di archivi storici e la realizzazione di archivi digitali. Un esempio preso in esame a questo proposito è il progetto dell’archivio Giuseppe Pinelli, con cui l’autore del libro collabora, che vede attraverso l’uso della Public History la creazione di un archivio digitale che contenga la documentazione di diversi archivi facilitando la comunicazione tra le diverse istituzioni e la valorizzazione del patrimonio archivistico. Lo scopo di tale istituzione viene argomentata all’interno del saggio, che sottolinea: «[…] da un lato la costruzione di un archivio storico per la conservazione della memoria dell’anarchismo, dall’altro il bisogno di ripensare quest’ultimo alla luce del contesto sociale in cui opera, al fine di renderlo un punto di riferimento alternativo alla cultura dominante. In altre parole, come Archivio Pinelli si vuole preservare e alimentare la memoria anarchica come Centro studi libertari si intende indagare e promuovere la cultura anarchica e libertaria nei suoi rapporti con la contemporaneità».

L’autore propone, inoltre, un importante spunto di riflessione sul tema della fragilità degli archivi interrogandosi in merito alle caratteristiche di tale fragilità, dovuta in primis alla manipolazione della documentazione che dall’ente produttore arriva fino all’archivio. Con fragilità si intende la possibilità che un intero fondo archivistico possa anche essere diviso e confluire in più archivi diversi e anche distanti tra loro. Tale divisione renderebbe difficile poi il riordinamento del fondo a causa del pericolo di smarrimento o danneggiamento della documentazione. La fragilità di determinati archivi e fondi dipende anche dalla loro dispersione e distruzione per ragioni che spesso sono politiche, senza dimenticare la minaccia delle calamità naturali. Un ultimo fattore che Pezzica elenca nelle varie cause che rendono fragile un archivio è la calamità naturale, che distrugge o danneggia un archivio e le carte al suo interno.

Per concludere, nel saggio l’autore sottolinea l’importanza dell’esistenza dell’archivio come istituzione poiché esso custodisce la memoria delle civiltà e difenderlo vuol dire difendere la memoria da possibili manipolazioni, occultamenti e distruzione da parte del potere. L’autore evidenzia come il nemico principale dell’archivio sia l’oblio in cui la documentazione può cadere e venire dimenticata e di come esso si intrecci con il potere nel caso in cui, esso voglia nascondere agli occhi del pubblico documentazione scomoda o pericolosa per il potere stesso e le istituzioni che lo rappresentano. E per tale ragione viene denunciato lo stato di degrado degli archivi che secondo Pezzica, non è un problema di settore ma un problema politico, in quanto egli sostiene che dietro tale incuria vi è, a volte non dichiarata, la volontà di occultare e modificare la memoria. Sottolinea il ruolo dell’archivista nel selezionare la documentazione tra ciò che è rilevante e ciò che non lo è, determinando ciò che verrà ricordato e ciò che andrà perduto per sempre. Evidenzia anche come la sfida del digitale riafferma la centralità dell’archivista il quale deve affinare le sue abilità e tecniche per poter sviluppare nuovi criteri di selezione per impedire che la corretta funzione dell’archivio possa interrompersi o essere compromessa dato che senza archivio non vi è memoria.

Elisa Rota