Città della Prima Guerra Mondiale – Cronaca del dialogo tra Erwin Schmidl e Marco Cimmino, modera Pierluigi Lodi

Incontro nell’ambito del XXI Festival èStoria – 1 giugno 2025 h 12.00-13.00, Auditorium Fogar (Gorizia)

Ci troviamo a Gorizia in occasione del XXI Festival Internazionale della Storia presso l’Auditorium Fogar, nel pieno centro della “Nizza austriaca” e a poca distanza dal Castello che torreggia sulla città isontina. È qui che il professor Marco Cimmino, storico militare affermato, si confronta con Erwin Schmidl, l’attuale Presidente della Commissione di Storia Militare austriaca, con la moderazione di Pierluigi Lodi, ricercatore e funzionario museale goriziano che da anni si dedica alla didattica sulla Grande Guerra.

La conferenza si apre con una osservazione da parte di Lodi, il quale sottolinea che, se le città scandiscono in maniera abbastanza netta le tappe della Seconda Guerra Mondiale, tanto che si può quasi ripercorrere i momenti salienti del conflitto indicando una serie di centri abitati (Varsavia, Parigi, Londra, Stalingrado, Berlino, Hiroshima), il loro ruolo all’interno di un conflitto come la Grande Guerra richiede un’analisi di tipo differente. Ciò vale, ad esempio, per il confronto tra le battaglie avvenute presso Verdun e Gorizia: seppur questi due scenari possano sembrare a una prima visione tutto sommato simili, essi differiscono notevolmente sia dal punto di vista militare sia, soprattutto, da quello del racconto che, dopo il termine del conflitto, è stato fatto dalla propaganda francese e italiana della battaglia. Verdun, infatti, è ancora oggi il simbolo unificante della resistenza francese durante la Grande Guerra, mentre Gorizia non gode di una narrazione unica, neanche calata dall’altro, e rimane un elemento tutt’oggi divisivo.

Cimmino, ricollegandosi al discorso di Lodi, parla della “occasione perduta”, riferendosi alla diversa gestione della memoria di Gorizia rispetto a Verdun nel primo dopoguerra. Introduce quindi la differenza tra città in guerra e città di guerra: la prima è un centro abitato che si trova all’interno del raggio delle artiglierie nemiche, ed è quindi direttamente coinvolta nelle operazioni, mentre la seconda è una retrovia che offre risorse maggiori ai centri posti nelle immediate vicinanze del fronte di guerra (come potevano essere Trieste per la Duplice Monarchia o Udine per l’Italia).

Da qui, lo studioso inizia con il confronto tra Gorizia e Verdun, che individua come simili nella forma ma totalmente differenti nella sostanza: entrambe sono difatti città fortezze in un’età dove il concetto di ‘fortezza” si è evoluto radicalmente: l’introduzione di calibri potenti ha reso inutili le città murate di un tempo, riproponendo, quindi, lo schema della guerra d’assedio su di una scala mai vista prima, dove sono le stesse compagini statali o addirittura le alleanze ad essere soggette a un assedio reciproco. Verdun è una fortezza artificiale, un centro logistico costruito dall’esercito francese e un punto dall’importanza strategica enorme, simbolo di una sovranità francese distaccata dal mondo germanico (citando il Trattato di Verdun dell’843): Gorizia è parte di un sistema di fortezze naturali che unisce l’Isonzo a rilievi montani come il Sabotino o il San Michele, e quindi un centro di per sé di poca importanza sia strategicamente (e anche per questo una volta persa le truppe austroungariche semplicemente retrocedono su linee difensive predisposte poco dietro, riproponendo lo stesso schema difensivo alle armate italiane), sia sul piano simbolico. In questo senso, Gorizia ha meno forza nella narrativa che riguarda Trento e Trieste), se non come arma di propaganda una volta occupata dalle truppe italiane il 9 agosto 1916, essendo il primo centro abitato di una certa grandezza a cadere in mano all’Intesa dall’inizio della guerra.

Nonostante le celebrazioni al momento della conquista della città, Gorizia nel dopoguerra italiano soffrirà di una gestione pessima sia da un punto di vista della memorialistica militare, sia come meta turistico-storica, considerata com’era dal governo quasi “troppo slava” per essere celebrata più di tanto, a differenza di ben più famose vittorie come Vittorio Veneto.

Lodi sottolinea come Gorizia sia stata città sia di guerra, tanto che fino al 17 novembre 1915 non fu quasi toccata dalle artiglierie italiane seppure fosse in raggio (cosa sulla quale il generale francese Joffre castigherà Cadorna dopo un’ispezione del fronte nello stesso anno), sia in guerra una volta iniziato il bombardamento della città.

La parola passa quindi a Schmidl, il quale si concentra sul ruolo della città nella Grande Guerra e sul confronto tra città e campagna, oltre che sul problema dell’approvvigionamento durante il conflitto. Schmidl individua la città come un centro importante da un punto di vista sia produttivo, sia logistico, come luogo di produzione e smistamento di tutto ciò che può servire al mantenimento delle operazioni al fronte: cibo, uniformi, armi, munizioni, equipaggiamenti, sanità e, soprattutto, uomini.

Nelle città, agli inizi del conflitto, la situazione è simile a quella delle campagne (aumento del lavoro femminile come rimpiazzo degli uomini inviati al fronte e un approvvigionamento che tutto sommato funziona ancora, nonostante le requisizioni) ma avrà degli sviluppi di gran lunga più drammatici, tanto che nel 1920, ben oltre il termine della guerra, la situazione dell’approvvigionamento diverrà critica, con la fame che in molti centri supererà quella diffusa nello stesso periodo di guerra.

La stessa Gorizia, che cambia occupante ben tre volte durante il periodo 1915-18, vedrà la fuga di diversi residenti, mentre il governo di turno ogni volta si ritrova a dover ricostruire da capo tutte le strutture amministrative: questo perché, continua Schmidl, le città durante la Grande Guerra non sono soltanto obiettivi da conquistare tramite assedio, come erano fino al XVIII secolo, ma parte di complessi difensivi più estesi che si inframezzano tra il fronte e centri logisticamente, politicamente e/o simbolicamente ben più importanti: è il caso di Verdun, che si frappone tra i tedeschi e Parigi, e Gorizia in previsione della presa di Trieste. Sono dunque luoghi la cui importanza viene ingigantita dalla propaganda postbellica quando essa lo richiede (come nel caso di Verdun).

Lodi pone due domande ai relatori: a Cimmino se sia vera l’espressione secondo la quale “l’Italia ha vinto la guerra ma perso la pace”, a Schmidl come sia stato vissuto a Vienna il volo che d’Annunzio compì sulla città il 9 agosto 1918. Cimmino risponde sostenendo che il popolo italiano possegga un talento particolare nel manipolare in negativo la propria memoria storica, raccontandosi male e gestendo la memoria del proprio passato recente ancora peggio (e fa l’esempio della narrazione attorno alla battaglia di Caporetto). Schmidl sottolinea l’indubbio risultato dell’aviazione italiana che, seppur la guerra dal punto di vista militare fosse ormai già persa, diede il colpo di grazia ad un’opinione pubblica viennese che ancora nutriva qualche speranza di vittoria.

L’incontro si è chiusa con alcune domande dal pubblico, le quali sono andate a toccare i temi dell’approvvigionamento di cibo a civili e militari dal lato austroungarico, i risultati della storiografia sul tema “liberazione o conquista” di Gorizia e, infine, la possibilità di una trattativa che risolvesse le dispute territoriali tra Duplice Monarchia e Italia; rispondendo a quest’ultima i relatori e il moderatore si sono detti d’accordo sull’impossibilità di tali trattative, seppur attraverso analisi differenti l’una dall’altra.

Fabio Cacciolato