“Lenin a pezzi”: incontro con Antonella Salomoni, Università degli Studi di Milano, 19 novembre 2024)

Nell’ambito del corso di Comunicazione storica e usi pubblici del passato tenuto dal prof. Massimo Baioni, durante il pomeriggio di martedì 19 novembre si è svolto un incontro con la prof.ssa Antonella Salomoni, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna. Studiosa di questioni di storia politica, economica, sociale e religiosa relative alla Russia zarista e sovietica, Salomoni è autrice del volume Lenin a pezzi. Distruggere e trasformare il passato (Il Mulino, 2022), incentrato sul destino toccato alle statue raffiguranti il leader dei bolscevichi alcuni decenni dopo la sua morte, nel contesto storico in cui si colloca la de-comunistizzazione, iniziata con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991.

Il testo rappresenta un contributo importante agli studi intorno alla memoria storica e alla sua gestione politica, fornendo un contributo prezioso al dibattito su come le società gestiscono i retaggi scomodi del loro passato. In modo dettagliato e multidisciplinare, vi viene condotta un’indagine puntuale sul rapporto tra passato e identità collettiva nelle società post-totalitarie della costellazione sovietica. Russia in primis; ma non solo. Già a partire dall’introduzione del volume, l’autrice si premura di sottolineare come nel territorio della Federazione il corpo simbolico di Lenin sia ben presente nella statuaria e il nome del fondatore dell’URSS ricopra ancora oggi un ruolo centrale nella memorialistica e nella toponomastica dei luoghi pubblici (vie, piazze, parchi). Non è infine da dimenticare che il corpo fisico di Lenin risiede ancora nell’omonimo Mausoleo nel centro della Piazza Rossa di Mosca; è dunque sopravvissuto alla perestrojka e alla pretesa de-sovietizzazione della società. Salomoni riporta molteplici interventi politici a favore o contro un’eventuale ritumulazione delle spoglie, che però non è mai stata deliberata, ma solo proposta, e non senza grandi opposizioni di diverse parti sociali. Salomoni approfondisce le implicazioni sociali di questo dibattito, sottolineando come ancora nella Russia contemporanea si tema che la rimozione dei simboli possa portare a tensioni intergenerazionali; ciò evidenzia efficacemente il ruolo delle minoranze nostalgiche e come le nuove generazioni siano portate a reinterpretare il passato sovietico in modi alternativi, adattati al mutato scenario geopolitico, estrapolati dal contesto originario, storicamente rideterminati. Lo stesso Putin, tornando più volte sulla questione anche in tempi recentissimi, ha sempre colto l’opportunità di non forzare il processo di rimozione di tali potenti simboli, riconoscendo ad esempio la necessità della rimozione del corpo di Lenin dal Mausoleo ma negandone l’urgenza in nome dell’unità nazionale russa.

Ein Gespenst geht um in Russland; si aggira ancora in Russia lo spettro dei simboli sovietici, Lenin tra tutti. Pertanto non sorprende che, come Salomoni illustra nel dettaglio, in altri paesi dell’area ex-sovietica il processo di rimozione o di risemantizzazione delle spoglie di tale passato abbia spesso assunto i caratteri di una de-russificazione più che di una volontà di lasciarsi alle spalle il solo passato comunista. È il caso dell’Ucraina, da cui origina quasi una furia iconoclasta per la rappresentazione di Lenin, fenomeno conosciuto come Leninopad.

Il testo ha il merito di inquadrare la questione a partire da questa osservazione, centrale per la comprensione dell’attuale situazione sulla frontiera orientale d’Europa, e di esaminare in modo critico il processo di smantellamento dei simboli del regime. Durante l’incontro, l’autrice ha illustrato il modo in cui la rimozione fisica e simbolica di questi elementi rappresenta un tentativo delle società ex-sovietiche di ridefinire la propria identità nazionale e politica. Tali questioni si collocano appieno nel dibattito contemporaneo sugli usi pubblici del passato e l’iconoclastia politica, poiché riconoscono la distruzione di monumenti e la reinterpretazione delle memorie collettive come strumenti di cambiamento politico e culturale. La distruzione delle statue di Lenin non si limita al solo atto materiale, ma rappresenta un gesto profondamente simbolico che riflette il desiderio di rottura con il passato; così la memoria collettiva, definita da Maurice Halbwachs (La mémoire collective, 1950) come costrutto dinamico influenzato dal contesto, diventa il campo di battaglia in cui diverse forze politiche e sociali cercano di imporre la loro narrazione storica. Sotto questa luce, Salomoni inquadra l’inaugurazione voluta da Stalin delle colossali statue dedicate al predecessore e disseminate in tutta l’Unione Sovietica a partire dalla seconda metà degli anni ‘20 del secolo scorso. Possiamo qui osservare come la costruzione di un canone iconografico-statuario e memorialistico a partire dalla figura storica di Lenin sia stato un atto deliberato da parte del potere sovietico rispondendo ad una precisa agenda politico-ideologica; non sorprende quindi che, mutati questi paradigmi, anche l’abbattimento delle statue venga operato secondo le medesime logiche. Salomoni descrive infatti il destino delle statue di Lenin e il loro smantellamento come metafora del cambiamento ideologico, fenomeno politicamente carico, che implica il passaggio da un regime a un altro e sottende la riscrittura della storia ufficiale. Inevitabile è il confronto con altre damnatio memoriae di dittatori e leader oppressivi più o meno recenti – tema su cui insiste anche l’utile volume di Margaret MacMillan, The Uses and Abuses of History (2008).

Il libro della prof.ssa Salomoni d’altronde si colloca in una tradizione accademica che include opere come L’invenzione della tradizioneI, curato da Eric Hobsbawm e Terence Ranger (Einaudi, 1987); anzi, prende avvio proprio dall’assunto che le narrazioni storiche siano costruite per rispondere a esigenze politiche e su questo presupposto conduce un’attenta analisi del post-sovietico e della negoziazione di identità nazionali emerse dal calderone dell’URSS attraverso la manipolazione della memoria storica. Che questa pratica sia legittima si manifesta nel suo essere originata nella maggior parte dei casi (con la notevole eccezione di quanto accadde e accade all’interno dei confini della Federazione Russa) dalla volontà della folla, entità sociale che prende d’assalto i simboli del potere senza che vi sia indicazione in tal senso da parte delle autorità. Al tempo stesso, che tale prassi sia problematica è sottolineato da Salomoni attraverso la riflessione condotta intorno al concetto di oblio selettivo. Intere sezioni del passato sovietico sono state infatti deliberatamente dimenticate, mentre altre sono state rivalutate e utilizzate per costruire nuove narrazioni; in tal senso, la rimozione di statue e monumenti si inserisce in una più ampia strategia di rebranding storico, usata dai governi post-sovietici per promuovere una visione più compatibile con le nuove ideologie nazionaliste.

Uno degli aspetti più affascinanti di tale fenomeno, toccato anche durante l’incontro con gli studenti attraverso vari esempi statuari, è la trasformazione simbolica dei monumenti, soprattutto laddove sono riproposti in nuovi contesti o reinterpretati in chiave critica. Infatti, sebbene la maggior parte di essi siano stati distrutti, altri sono stati ricontestualizzati per nuovi usi pubblici, dimostrando la fluidità della memoria storica. Sono numerosi gli esempi di rielaborazioni creative delle statue, come la loro trasformazione in installazioni artistiche o la loro integrazione in musei dedicati alla memoria. Questi spostamenti e riusi rappresentano un modo per continuare il dialogo con il passato, piuttosto che cancellarlo completamente. La riflessione sulle implicazioni a lungo termine della de-comunistizzazione per le società contemporanee è centrale per i suoi effetti sul rapporto tra la Russia di oggi e i suoi ex stati satelliti, dal momento che la distruzione e la riconfigurazione del passato non riguardano solo il modo in cui una società vede sé stessa, ma influenzano anche il modo in cui interagisce con il mondo esterno. La rimozione dei simboli sovietici rappresenta un atto complesso di negazione e rielaborazione della storia, che può portare sia a una comprensione più profonda del passato, sia a nuove forme di esclusione e marginalizzazione, sia ad una gestione armonica del presente lasciatoci in eredità dalla storia dell’Unione Sovietica, sia a nuovi focolai di conflitto come quelli che stanno incendiando l’Ucraina ed il Caucaso.

L’incontro è stato condotto attraverso l’analisi delle principali opere mediante cui si è forgiato il canone ideologico del compagno Lenin. Tra queste:

  • Nowa Huta, quartiere operaio ai margini di Cracovia: statua inaugurata nel 1973 ed abbattuta nel 1989, raffigura Lenin nell’atto di camminare e si costituisce quindi come una variazione sulla figura tradizionale del leader che arringa la folla. Al momento dell’abbattimento, viene venduta come rottame di ferro e attualmente si trova in un parco divertimenti in Svezia. Un aspetto interessante riguardo di questo monumento è il suo aver ispirato azioni artistiche dissacranti, quali questa riproduzione in miniatura del 2014 sul modello del Manneken Pis di Bruxelles.
Małgorzata Wach, Jak pomnik Lenina wrócił do Nowej Huty, su Dziennik Polski, 11/05/2018 (https://plus.dziennikpolski24.pl/jak-pomnik-lenina-wrocil-do-nowej-huty/ar/13165847)
Emma Monbrun, La Pologne fait le ménage parmi les vestiges de l’ère communiste,
su Le Petit Journal, 30/09/2020 (https://lepetitjournal.com/varsovie/
comprendre-pologne/la-pologne-fait-le-
menage-parmi-les-vestiges-de-lere-communiste-289140)
  • Bucarest: L’artista rumeno Constantin Ionita ha risemantizzato questa statua facendo sbocciare dal capo di Lenin delle rose, trasformandolo in una sorta di mostruosa idra fiorita: Secondo l’artista: “Art should be provocative, impressive, and monumental, made in such a way that even if you do not understand the message you should remember it”.
  • Leninplatz, Berlino Est: Statua inaugurata nel 1970; smembrata su impulso delle autorità tedesche e sepolta in località sconosciuta nei boschi intorno alla città, nel 1991. Si tratta di una colossale opera in granito, opera dello scultore russo Nikolaj Tomsjii. Nel 2015 la testa colossale venne ritrovata e dissepolta; oggi è esposta in un giardino pubblico nella cittadina di Spandau. Prima dello smantellamento, mediante proiezioni luminose sulla statua,il corpo del leader sovietico era stato trasfoormato in quello di  un turista (Leninplatz Projection, artista polacco Krzysztof Wodiczko).
  • Riga: Eretta nel 1950 sopra una enorme base di granito rosa, nello spiazzo all’incrocio tra le allora via Lenin e via Kirov. Rimossa la sera del 25 agosto del 1991, quattro giorni dopo che la Lettonia aveva riacquistato formalmente l’indipendenza dall’Urss dopo cinquanta anni di occupazione.
  • Le varie statue rimosse in Ucraina, nel corso di quello che per alcuni aspetti si presenta come un vero e proprio processo di decolonizzazione politica (de-russificazione), ideologica (de-comunistizzazione) e linguistica (esemplificata da processi come la de-puskinizzazione).

Tra le statue di Lenin rimosse o risemantizzate, sono state citate:

  • Statua a Kiev, installata nel 1946 e divelta dalla folla l’8 dicembre 2013 durante le proteste di Euromaidan. Opera di Sergej D. Merkurov
  • Statua a Odessa, rimodellata dall’artista Alexander Milov sulle fattezze di Darth Vader, con chiaro intento dissacrante

Simile concettualmente a quest’ultimo intervento è quanto l’artista cecoslovacco David Cerny operò nel 1991 su un carro armato sovietico esposto nel centro di Praga per commemorare la vittoria della Seconda guerra mondiale: questo venne ripetutamente dipinto di rosa e si trova oggi presso il museo militare di Lešany in Repubblica Ceca.

Altri esempi di riutilizzo di statue con funzione commemorativa si possono osservare nel Muzeon Park of Arts di Mosca, dove un monumento alle vittime della repressione staliniana è composta da teste di statue sovietiche rimosse dallo spazio pubblico e poste come sfondo ad una statua del dittatore.

In tutti questi casi, si osserva come lo spazio pubblico venga riplasmato, ripensato in funzione della liberazione dal portato simbolico della statua o in contrasto con la sua presenza o il suo ricordo. Le azioni iconoclastiche costituiscono spesso un atto di volontà nazionale o in ogni caso vengono presentate come tali dalle nuove autorità post-sovietiche.

Di fronte al pubblico interessato degli studenti, Salomoni ha risposto ad alcune domande in merito alla ripresa della propaganda di nostalgia sovietica nella Russia di oggi, con particolare riferimento alla figura di Stalin. A questo proposito, si sono ricordate alcune tappe fondamentali: innanzitutto il 1961, momento di cesura in cui il corpo del dittatore esposto alla morte nel Mausoleo di Lenin venne rimosso per decisione degli stessi organi di partito; poi il processo di ri-stalinizzazione inauguratosi con Brežnev; infine una seconda de-stalinizzazione di volontà popolare operata in accordo con la dottrina della glasnost. Si è in ultimo sottolineato l’ambiguo rapporto della Federazione con un reale ed equa giustizia di transizione, a maggior ragione in un momento in cui i memoriali alle vittime del socialismo reale vengono smantellati in tutto il paese e sono sotto attacco anche le associazioni della società civile che mantengono il ricordo dei crimini di regime, prima tra tutte Memorial – un nome decisamente significativo, in questo contesto.

Altre domande hanno riguardato la rimozione delle statue di Lenin nel Donbass e il concetto, recentemente emerso in Occidente, di cancel culture, che però la relatrice ritiene inappropriato in relazione alla storia sovietica, anche perché tale definizione è stata stigmatizzata in funzione anti-occidentale dallo stesso Putin.

Giulio Bellotto