Educare al rispetto e alla tutela dei diritti nella società multimediale, Bookcity 2021

Report di Sara Nisoli e Davide Valadè

Nell’ambito dell’iniziativa culturale Bookcity Università 2021 alla Statale ha avuto luogo, in data 18 novembre 2021, un incontro pubblico con docenti, intellettuali, professori di diritto ed esperti del settore sociocomunicativo riguardante il contrasto alla violenza sui social media, un fenomeno che con sempre maggiore frequenza e diffusione sta interessando la nostra epoca e che, nel corso dell’attuale pandemia, si sta manifestando con forza. Il dibattito è stata l’occasione per la presentazione del volume curato da Marilisa D’Amico e Cecilia Siccardi, La Costituzione non odia. Conoscere, prevenire e contrastare l’hate speech online, Giappichelli, Torino, 2021.

Nell’introduzione di Michela Minesso, moderatrice dell’incontro, ci si è soffermati sull’importanza della tematica, la quale costituisce un argomento di discussione e di riflessione politico-giuridica quotidiana ed estremamente delicata. La violenza sui social media è una questione che deve essere affrontata da ciascuno in modo lucido e consapevole e un ottimo strumento d’indagine e di ricerca, capace d’indirizzare verso un tale approccio, è costituito dal volume La Costituzione non odia, che analizza la diffusione dell’odio online dal punto di vista empirico, teorico e scientifico, allo scopo di «promuovere una cultura tollerante, paritaria e fermamente contraria alla diffusione di forme di odio e discriminazione»[1].

All’introduzione di Minesso è seguita la lettura dell’intervento scritto di Liliana Segre. Con riferimento ai lavori della Commissione monocamerale straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo ed antisemitismo di Palazzo Madama, la senatrice ha riflettuto sulla stretta relazione tra i discorsi di odio e le loro dirette conseguenze negative, sottolineando il ruolo del linguaggio in termini di agente scatenante e catalizzatore di azioni concrete: come ci è segnalato dalla nostra esperienza, dai fatti di cronaca e dalla ricerca condotta in ambito scientifico «i discorsi di odio non sono solo parole, non sono chiacchiere, ma determinano dirette conseguenze», conducendo alla decadenza, disgregazione e frantumazione dei rapporti comunitari collettivi e tra i singoli individui. L’hate speech online «non è un fenomeno sconveniente, ma circoscritto»; genera sia disuguaglianze che fratture sociali permanenti e tra i suoi effetti più tristi e preoccupanti vi è il consolidamento della discriminazione di genere e degli stereotipi sessisti contro le donne.

Liliana Segre ha sottolineato come i rimedi alla violenza sui social media siano da ricercare nelle leggi europee e nazionali e, a tal proposito, la Costituzione italiana rappresenta un riferimento imprescindibile: la tutela dei diritti e il riconoscimento a ogni cittadino della pari dignità sociale (le basi del compimento del processo democratico) sono sanciti dalla Repubblica italiana quali principi fondamentali.

Alla lettura della testimonianza scritta della senatrice è seguito l’intervento di Marilisa D’Amico, che ha riflettuto sul diritto e sulla limitazione dell’espressione del libero pensiero, in riferimento ai discorsi di odio. Il contributo apportato dalla relatrice ha tratto origine da un interrogativo che viene riproposto e più dettagliatamente discusso nel capitolo 2 del volume: la libertà di manifestazione del proprio pensiero, giuridicamente garantita dall’articolo 21 della nostra Costituzione, può essere limitata laddove essa degeneri nell’hate speech? La risposta è affermativa, in quanto il linguaggio discriminante è delegittimato e non tollerato dalla legge: infatti, gli articoli 2, 3 e 21 riconoscono la libertà come imprescindibile diritto e ne esaltano il fondamentale valore, ma condannano il pensiero che discrimina. La limitazione di quest’ultimo consente la difesa della democrazia.

Nell’intervento successivo Milena Santerini, dopo aver dichiarato che il tema dell’hate speech è un chiaro esempio di problematica culturale, ha fatto presente che i giuristi svolgono un ruolo civile e politico di assoluta importanza ogniqualvolta si approcciano a tale questione. Ha successivamente sottolineato le peculiarità della violenza online: infatti, se l’odio è sempre esistito, le manifestazioni in rete del medesimo fenomeno hanno assunto forme inedite e particolari. La relatrice ha ribadito il valore del linguaggio e il suo legame con l’esercizio della violenza: nonostante la parola venga spesso considerata solamente come semplice istigazione, è molto più di questo; se è vero che il linguaggio diventa pericoloso nel momento in cui si tramuta in atto (trasformazione dalla parola d’odio al gesto d’odio), esso è lesivo anche solo di per sé, a prescindere dalla violenza fisica.

Secondo Milena Santerini per contrastare la violenza sui social media il ricorso al penale deve rappresentare l’extrema ratio, in quanto il vero antidoto è “prevenire educando”; l’intolleranza deve essere sconfitta dalle politiche d’inclusione, integrazione e completa affermazione dei diritti umani.

Pur non rinnegando i social media, né disconoscendone le potenzialità, ognuno di noi deve acquisire consapevolezza del fatto che i messaggi di odio veicolati dai social rappresentano una fonte di guadagno, perché creano tendenza e aumenta la loro visualizzazione da parte degli utenti. Ancora una volta, dunque, emergono le caratteristiche della forza e della potenza del linguaggio, nonché la sua pericolosità, laddove la libertà di pensiero travalica i limiti consentiti. Tuttavia, se la parola può determinare effetti disgregativi e distruttivi, essa può essere contenuta, fermata e contrastata. Si riscontra purtroppo, tra l’opinione pubblica, un’assenza di questa coscienza e sembra prevalere l’idea che spesso il linguaggio sia destinato a sfuggire di mano.

Santerini ha infine concluso il suo intervento con una particolare nota di merito al volume per il focus che pone sulle leggi adottate dalle altre nazioni, in particolare dalla Germania e dalla Francia, per contrastare il fenomeno dell’hate speech online[2]. La strada percorsa da questi Paesi è quella di incaricare le piattaforme stesse della rimozione dei contenuti di odio; si tratta di una scelta che implica una riflessione sulla validità o meno di un tale provvedimento e soprattutto sui criteri che le piattaforme adottano per giudicare un messaggio opportuno ovvero inadatto.

La ricerca di anticorpi per combattere il fenomeno della violenza sui social media è sinonimo di società civile e per giungere a risultati concreti è fondamentale investire nella cultura dell’educazione e della prevenzione dei discorsi di odio e di violenza, così come attuare manovre giuridiche e legislative di denuncia e di condanna di tali comportamenti.

Una volta terminato l’intervento di Milena Santerini la parola è tornata a Michela Minesso, che, dopo aver ribadito il valore della non indifferenza di fronte all’hate speech online, ha sottolineato, pure lei, l’importanza di coltivare la cultura dell’educazione e della prevenzione dell’odio piuttosto che adottare azioni punitive. Ella ha, inoltre, colto l’occasione per ribadire la forza del linguaggio e delle parole, che sono pietre e che possono dunque ferire.

Simona Ravizza, firma autorevole del “Corriere della Sera”, ha riportato l’attenzione dei presenti sul tema della Costituzione: fu la stessa congiuntura storica nella quale si svolse il dibattito costituente a generare una carta che non può in alcun modo legittimare l’odio. La vocazione egualitaria e solidale della Costituzione repubblicana è, non a caso, posta nei primissimi articoli del testo. Come applicare questi principi alla società odierna?

Se la legge italiana non legittima in alcun modo la diffusione di messaggi d’odio in rete, al tempo stesso la regolamentazione e la punizione dell’hate speech online è un problema di ordine pratico. Ad oggi il controllo della condivisione di messaggi offensivi è assegnato ai social media che hanno interesse nel diffondere contenuti “cliccabili”. Ravizza ha sottolineato come la verifica sia affidata a dei singoli moderatori che, in una dinamica da call-center, si trovano a dover far fronte a uno spropositato numero di richieste e non garantiscono un effettivo monitoraggio della diffusione dei contenuti d’odio. Il fatto che il controllo sia delegato alle stesse piattaforme rappresenta infatti un paradosso; ci si chiede in che misura il problema sia affrontabile a livello nazionale dal momento che il reato viene perpetrato nello spazio globale per eccellenza: la rete. A proposito di questo viene citato il caso della censura effettuata da Facebook degli account di CasaPound e Forza Nuova, di cui il primo successivamente riaperto in seguito all’accettazione del ricorso da parte del Tribunale civile di Roma. Pietro Villaschi, dottorando di ricerca in Diritto costituzionale analizza la (non) regolamentazione dei social network e del web nell’ottavo capitolo del volume. Nell’ancora lungo cammino verso la regolamentazione del mondo digitale il primo passo è certamente la conoscenza della società che lo vive. È anche per questo che nel 2016 nasce Vox-Osservatorio italiano sui Diritti, il cui lavoro di mappatura dei dati viene esaminato da Silvia Brena nel primo capitolo. L’analisi di Brena si chiude con un’interessante riflessione sulla correlazione tra discorsi d’odio e crimini d’odio: esiste un rapporto di causa-effetto tra i due? Come già è stato detto dalla senatrice Segre nell’intervento di apertura la risposta non può che essere affermativa.

Michela Minesso ci ha poi riportati al tema centrale del volume: l’importanza della funzione educativa quale prevenzione dei crimini d’odio. Lo studio del passato svolge in questo senso un importante ruolo di preparazione alla valutazione critica delle contro-narrazioni che rivendicano l’odio come un diritto; la forza della Costituzione è essere ancora oggi tanto uno strumento per la difesa dei diritti dell’individuo, quanto una guida per la responsabilizzazione ai doveri del cittadino.

Fabio Roia ha aperto il suo intervento sottolineando come l’apparente anonimato dello schermo e del mouse rappresenti un elemento di sostanziale differenza tra i discorsi d’odio online e quelli offline. Il crimine online viene più difficilmente percepito come tale e spesso la parola viene rivendicata in nome di una libertà d’espressione svincolata da ogni responsabilità.

Tra gli eventi recenti la mancata calendarizzazione del DDL Zan mostra come ci sia una parte del Paese che non vuole riflettere su sé stessa. Particolarmente calzante per una riflessione su questo tema è il resoconto annuale del Tribunale di Milano: su 211 casi di femminicidio presi in considerazione, la grande maggioranza presenta il tratto comune della non accettazione della rottura unilaterale del rapporto da parte della donna. Il pensiero misogino, figlio di una storia giurisprudenziale che ha mantenuto la donna in una posizione di sfavore resta, ancora oggi, il principale movente della violenza di genere. Questa tendenza viene ben sottolineata da Irene Pellizzone, associata di Diritto costituzionale all’Università di Milano, nel capitolo 5 del volume presentato. Qual è il ruolo del diritto nel passaggio dalla misoginia alla violenza di genere? Ancora una volta il saggio coniuga sapientemente l’analisi storica dell’evoluzione del diritto ricercando in essa le radici dell’odio. Impossibile non affrontare il tema della narrazione dei media e della censura da parte del sistema sociale: femminicidi e stupri raccontati male diventano sul web camere di risonanza e nuova origine del vizioso circolo di legittimazione dell’odio e della violenza.

L’evento è stato una preziosa occasione per presentare agli studenti, e non solo, un percorso scientifico e “sul campo” verso una cultura che non odia e contestualmente un proficuo momento di incontro tra discipline. Lo stesso volume è un chiaro esempio di quanto sia necessario oggi un lavoro d’équipe che consenta l’incontro trasversale tra dipartimenti e campi di studio. In particolare, gli studi storici, nel riprendere l’esame della questione dal momento costituente, permettono una profondità d’analisi che non si ferma alla spiegazione della legislazione odierna, ma, descrivendone il percorso storico, forniscono al lettore le informazioni necessarie per una lettura consapevole del fenomeno e capace di uno slancio verso possibili evoluzioni future.

L’intervento conclusivo di Cecilia Siccardi ha ripreso diverse questioni poste dai relatori: il tema dell’odio online non può prescindere da una riflessione sul rapporto legge-società, come educare? Come tracciare un quadro del fenomeno? E infine, quanto e come intervenire? È anche grazie a contributi concreti come il lavoro di D’Amico e Siccardi che possiamo ricordare come educare al rispetto e favorire la costruzione di strumenti legislativi per la tutela dei diritti nella società multimediale. In questo senso il volume vuole essere una proposta nei tre passaggi necessari al contrasto dell’odio online: educare, mappare e normare.

Link all’evento: https://bookcitymilano.it/eventi/2021/educare-al-rispetto-e-alla-tutela-dei-diritti-nella-societa-multimediale


[1] In relazione al tema dell’odio online si veda l’introduzione M. D’Amico, C. Siccardi (a cura di), La Costituzione non odia. Conoscere, prevenire e contrastare l’hate speech online, Torino 2021, p. XVII.

[2] Per approfondimenti si veda in particolare i capitoli 11 e 12 del volume M. D’Amico, C. Siccardi (a cura di), La Costituzione non odia cit.