Report di Giovanni D’Antoni
Il primo dei due appuntamenti di Bookcity alla Statale curati da Roberta Cesana, docente di archivistica, bibliografia e storia dell’editoria dell’Università degli Studi di Milano, ha riguardato Biblioteche in azione, dal Fascismo agli anni Sessanta. Protagoniste dell’evento due scrittrici dai contigui interessi di ricerca, Chiara Faggiolani e Antonella Trombone, autrici di due usciti nel 2020: Come un Ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro, uscito per Firenze University Press, e Teresa Motta. Una bibliotecaria e un anno di vicende memorabili, pubblicato da Calice. In entrambi i libri sono infatti narrate le storie di due protagonisti del Novecento, rispettivamente quella di un ben noto editore del Nord e quella di una sconosciuta bibliotecaria del Sud, distanti in tutto, non solo in termini geografici ma anche temporali e di potere d’azione; tuttavia, accomunate dalla medesima intenzione di migliorare la società civile con i mezzi a loro disposizione. Al centro vi è l’amore per i libri messi gratuitamente a disposizione di coloro che non possono permetterseli per vari motivi.
In apertura, Roberta Cesana, moderatrice dell’incontro, illustra le ragioni che l’hanno portata alla presentazione congiunta dei libri, secondo una logica volta a raccontare la storia delle biblioteche anche in termini di azione culturale, politica e civile dei loro fondatori, dei loro animatori e, naturalmente, dei lettori che le frequentavano. Si tratta di una prospettiva di analisi ancora inedita nell’ambito della storiografia sul tema, che qui è per esempio applicata contemporaneamente a due episodi diversi ma che contribuiscono a corroborare l’idea che con le biblioteche si possa cambiare la società. Entrambe le storie affrontate nei libri di Faggiolani e Trombone rappresentano infatti un punto di partenza per cominciare a raccontare un’idea diversa di biblioteca: quella delle “biblioteche in azione” appunto; un impulso in questo senso è venuto da protagonisti lungimiranti interessati ad allargare il perimetro della lettura e la diffusione dei libri.
Il volume Teresa Motta. Una bibliotecaria e un anno di vicende memorabili è valso ad Antonella Trombone il premio di saggistica storica lucana intitolato a Tommaso Pedio, nell’ambito della 50° Edizione del “Premio Letterario Basilicata”. A colpire l’occhio di noi storici è soprattutto la lettera autografa usata come immagine di copertina, vergata nel maggio del 1943 da Teresa Motta. Il libro è diviso in una parte storica e in un’appendice documentaria comprendente ben venticinque esemplari tra lettere, cartoline e altri documenti, tutti ordinati cronologicamente e in gran parte inedite – non solo a firma di Teresa Motta. Particolarmente efficace è anche il booktrailer, davvero ben curato, proiettato sullo schermo della sala (chi l’ha detto che i trailer debbano essere riservati solo ai potenziali spettatori dei film, dato che possono benissimo ingolosire anche i lettori di un libro: in fondo, tra “attore” e “autore”, come pure tra “attrice” e “autrice” c’è solo una lettera di differenza!), su cui scorre una selezione delle immagini contenute nell’appendice documentaria, col risultato di finire immersi nell’atmosfera ricca di suggestioni narrata nel volume, alla quale si unisce il pregevole commento audio di accompagnamento. Preceduto da una prefazione di Alberto Petrucciani e da un’introduzione della stessa autrice, la parte storica del libro è composta di sette capitoli che si snodano attraverso una carrellata in ordine cronologico che abbraccia il ventennio fascista, il secondo conflitto mondiale e l’immediato dopoguerra.
Come sottolineato da Antonella Trombone, la storia delle biblioteche delle città di provincia è un trascuratissimo settore di studi, ancora tutto da scrivere (e prima ancora da comprendere); inoltre, le indagini negli altrettanto poco dissodati campi del servizio bibliotecario e della sua fruizione da parte del pubblico risultano ancora agli esordi. L’innesco della ricerca è rappresentato dal ritrovamento di alcuni documenti in grado di muovere la curiosità dell’autrice, la quale, muovendo dalle lettere (conservate presso l’Archivio Storico e della Biblioteca dell’Associazione Italiana Biblioteche) firmate da Teresa Motta, lettere indirizzate a Francesco Barberi (soprintendente bibliografico per la Puglia e la Lucania dal 1935 al 1943), ha incrociato la propria ricerca con altri documenti, fino ad allora mai studiati, custoditi presso l’Archivio Storico della Biblioteca provinciale di Potenza. Proprio grazie a questo sapiente intreccio di fonti molteplici e in larga misura inedite, corroborato da un incessante confronto, Trombone ha potuto altresì studiare fonti scritte ulteriori, rare e significative, conservate con insolita cura e completezza seriale dal 1901 fino agli anni Cinquanta, ovvero: registri di lettura e di prestito, bollettari delle tessere degli utenti, registri dei depositi cauzionali, desiderata degli utenti. Così facendo, l’autrice ha potuto portare alla luce in maniera assai dettagliata quella che ha definito una «inaspettata vicenda di antifascismo sommerso», gestita a lungo, con coraggio e discrezione mirabili, dalla nostra bibliotecaria potentina. Grazie alla complicità della distributrice e dei custodi negli anni convulsi della parabola terminale del Ventennio fascista, Teresa Motta si adoperò in tanti modi e in piena consapevolezza per tenere aperte le porte della propria biblioteca a una comunità cosmopolita di confinati e internati per motivi razziali e politici. Pur nella sfortunata condizione di confinamento – una sorta di “internamento a piede libero” ma con obbligo di residenza in località Avigliano, e non solo, tra il 1940 e il 1943 – un nutrito gruppo di ebrei e dissidenti politici antifascisti, italiani e stranieri, tra cui spiccavano nomi destinati a diventare celebri, i quali ebbero almeno modo di proseguire le proprie attività intellettuali. Inoltre, in virtù dell’iniziativa di Teresa Motta, poterono continuare a “resistere” fino alla fine del regime fascista, godendo dell’appoggio e del conforto reciproco, dello spirito di fraternità creatosi in quella piccola biblioteca che era anche luogo di incontro. Tra gli internati che beneficiarono degli innumerevoli libri, consultati nella sala di lettura, nonché dei libri fortunosamente spediti dentro pacchi provenienti da varie biblioteche (che a volte si smarrivano strada facendo), vi furono, tra gli altri, il futuro economista Manlio Rossi-Doria e il giovane storico Franco Venturi. Noi storici apprendisti non possiamo che commuoverci nel vedere le foto dei documenti presenti nell’appendice documentaria offertaci da Trombone, tra cui fanno bella mostra alcune schede di lettura e prestito di un giovane Franco Venturi (relative a libri di Tocqueville e Hume; libri su cui lo studioso ha riflettuto a lungo nei suoi lavori fondamentali sull’Illuminismo e la cultura del Settecento.
Nell’introdurre il libro di Chiara Faggiolani, Roberta Cesana sottolinea quanto fosse atteso uno studio così vasto e pluridipliscinare, in grado di ricostruire con cura le vicende della genesi della Biblioteca Civica Luigi Einaudi di Dogliani – aspetto poco trattato della straordinaria impresa a servizio della cultura da parte dell’editore Giulio Einaudi. Oltre all’apporto imprescindibile di una vasta messe di fonti scritte, bibliografiche e archivistiche, Cesana osserva il valore decisivo rappresentato dall’ampio ricorso alle fonti orali: ben quaranta lunghe interviste con testimoni diretti e indiretti, i quali agiscono in qualità di “attivatori di memoria”. Come ci svela l’autrice, quando nell’ottobre del 1961 morì Luigi Einaudi, il Comune di Dogliani chiese al figlio Giulio di realizzare un monumento per onorarne la memoria. Ecco allora che Giulio Einaudi (vero e proprio “ossimoro vivente”), senza tradire il suo spirito creativo e anticonformista, innovatore ma anche provocatore –negli anni del boom economico in cui le biblioteche sembravano sconosciuti oggetti trascurati persino dallo Stato –, invece del consueto monumento di pietra inanimata, ebbe l’idea di donare alla comunità un monumento “vivo”: una biblioteca pubblica che fosse centro comunale di cultura, per la quale egli si attivò prontamente nella scelta della dotazione di volumi, profittando dell’esperienza di studio per una “biblioteca-modello” – che sarebbe poi confluita nella famosa Guida alla formazione di una pubblica e privata, arricchita dal commento di Delio Cantimori, ampiamente interpellato nel corso della sua compilazione. Dopo una prefazione a cura di Paolo Traniello, seguita da un’introduzione dell’autrice, il libro di Faggiolani si struttura in cinque corposi capitoli (di cui il terzo e il quarto corredati da appendici documentarie in cui sono stati trascritti numerosi discorsi dal valore inestimabile tenuti da Giulio Einaudi a bibliotecari, editori, lettori e ad altri attori della filiera del libro).
Dal racconto coinvolgente di Faggiolani veniamo a conoscenza delle molteplici manifestazioni di mecenatismo che hanno dato vita a questa irripetibile esperienza; manifestazioni quali la donazione della Biblioteca al Comune di Dogliani da parte dell’editore, la donazione del progetto da parte dell’architetto Bruno Zevi (un innovativo esempio di architettura organica sviluppata in orizzontale, con osmosi tra esterno ed interno, apertura urbanistica e flessibilità funzionale), e le cospicue donazioni di libri da parte delle principali case editrici italiane dietro sollecitazione dello stesso Giulio Einaudi. Inaugurata il 29 settembre 1963 con grande partecipazione di pubblico e battage pubblicitario su quotidiani e riviste, la Biblioteca Einaudi di Dogliani si candidava a incarnare un centro vivo di cultura, aperto a tutti e con orari desiderati dai propri utenti-cittadini, assistiti da un bibliotecario scelto non tanto per le competenze quanto per il fatto di essere un abile animatore culturale e riferimento per la comunità, nell’ottica di una “gestione partecipata” tanto cara all’editore, da sempre uomo di sinistra che in tale direzione politica non aveva mai mancato di orientare la propria attività editoriale fin dalle sue origini nel 1933. Insistendo su tale tasto, finalmente scopriamo dalla voce di Faggiolani il significato del titolo del suo libro, a sua volta ispiratole dalle parole del critico Ernesto Ferrero. In sostanza, Giulio Einaudi sarebbe stato un ministro per la cultura mancato, giacché la sua casa editrice avrebbe rappresentato fondamentalmente un’ibrida via di mezzo tra un ministero per la cultura e un elegante laboratorio privato di libertà, svolgendo molteplici attività a favore della pubblica lettura, lungo la linea di confine tra editoria e biblioteche pubbliche, dove l’editoria non poteva che essere anche campo di azione politica.
Tornando al libro di Antonella Trombone, Cesana invita l’autrice ad approfondire il fondamentale contributo rappresentato dal rapporto di fiducia instauratosi fra Teresa Motta e Francesco Barberi (un nome che ricorre spesso anche nel libro di Faggiolani); rapporto documentabile a partire dalla lettera indirizzata da quest’ultimo alla bibliotecaria potentina il 3 luglio del 1944, contenente le parole che danno il titolo al volume: «un anno di vicende memorabili» (il riferimento è all’anno 1943 appena trascorso, in cui la caduta di Mussolini aveva riacceso le speranza di entrambi verso un futuro migliore). Scopriamo allora che il soprintendente Barberi non aveva contribuito soltanto alla crescita della Biblioteca provinciale di Potenza (in virtù del suo ruolo di cerniera e finanziamento tra Ministero e biblioteche locali), o a quella di Teresa come bibliotecaria, giacché si era anche impegnato ad aiutare – persino mediante incontri clandestini cui prese parte egli stesso – alcuni degli internati più celebri, tra cui i menzionati Franco Venturi e Manlio Rossi-Doria, oppure attivandosi in prima persona nella spedizione di alcuni degli ormai celebri pacchi di libri prestati a loro beneficio.
La domanda finale che Roberta Cesana rivolge a Chiara Faggiolani riguarda invece le ragioni della progressiva disaffezione e del raffreddamento da parte di Giulio Einaudi nei confronti del proprio progetto bibliotecario. Secondo l’autrice la crescente disaffezione dell’editore può essere spiegata alla luce del sostanziale “isolamento” del suo progetto, da molti considerata alla stregua di una biblioteca individuale “paracadutata” all’improvviso in un piccolo centro di appena cinquemila abitanti: impresa giudicata dunque troppo velleitaria e visionaria da molti. Tuttavia, fu lo stesso isolamento che Einaudi, a sua volta, rimproverò allo Stato. Peccato, insomma, che Einaudi ministro per la cultura alla fine non lo sia stato per davvero, perché solo in tal modo avrebbe potuto azionare gli strumenti più incisivi di cui non poteva disporre. Nonostante l’intenzione einaudiana di una rete diffusa di biblioteche che passasse dal locale al globale, partendo dal Piemonte per poi estendersi all’intero territorio nazionale, si riuscì a realizzare solo una seconda biblioteca sul modello della prima, a Beinasco, nel 1969. Inoltre, nella sua visione di un servizio pubblico librario fatto di editoria e biblioteche, e finalizzato alla circolazione del libro così che la lettura ne risultasse favorita, l’editoria finiva con l’essere privilegiata a scapito delle biblioteche. Al riguardo, Chiara Faggiolani ha scritto che il concetto di “sistema” per Giulio Einaudi non era quello sotteso all’espressione “sistema bibliotecario”, in relazione allo sviluppo territoriale dei servizi delle biblioteche, bensì implicava il sistema più complesso del libro tout court, nel ben più ampio circuito relazionale composto da attori molteplici. La sua idea aveva goduto di un’iniziale attenzione soprattutto da parte dei ceti intellettuali di sinistra, scontando un’inevitabile dose di isolamento che contribuì a limitarne l’efficacia della funzione. Il modello, ad ogni modo, non fu del tutto fallimentare a giudizio di Faggiolani, non foss’altro per aver dato vita alla già citata Guida alla formazione di una pubblica e privata,pubblicata in più edizioni producendo un’influenza ampia e concreta.
Infine, Antonella Trombone ha precisato, dietro specifiche domande, che nella sua attività bibliotecaria a favore degli internati, Teresa Motta è ricorsa a nomi fittizi; inoltre, ha sottolineato che il soprintendente Barberi era al corrente dei servizi a beneficio dei confinati “più illustri”. Trombone ha anche segnalato casi di studio simili verificatisi in altri regimi totalitari, rintracciabili tramite una preziosa risorsa online: L&L Lives and Libraries – Lettori e biblioteche nell’Italia contemporanea.
In conclusione, le vicende studiate dalle autrici sono testimonianze coraggiose di “biblioteche in azione” volte al progresso civile della società sulla base dei sogni di protagonisti che decisero di rischiare per gli altri. In particolare, la vicenda di Teresa Motta è esemplare: una sconosciuta bibliotecaria sottopagata e priva di risorse, che non solo aveva messo a repentaglio la propria vita per gli altri, ma che, a guerra conclusa, come scrive Trombone: «non se ne vantò neanche quando avrebbe potuto farlo senza temere pericolo». Per quanto il mecenatismo di Giulio Einaudi non sia meno meritorio, non si può tacere l’inevitabile (anche se indesiderato) effetto favorevole in termini di ritorno pubblicitario, che poi è quello di cui, in fondo, ogni imprenditore finisce per beneficiare a seguito delle sue pubbliche attività filantropiche. Del resto, come ha sottolineato nella prefazione Paolo Traniello: «Non si tratta più allora solo di pensare e proporre un servizio pubblico, ma di trovare le modalità per attuarlo, nella consapevolezza che giovi non solo ai cittadini, ma alla stessa attività editoriale». Lode in ogni caso all’altruismo – soprattutto di fronte all’assenza di una politica statale in materia di biblioteche pubbliche – del grande mecenate Giulio Einaudi per il suo piccolo seme di biblioteca sperimentale. Ma ancor più lodevole è il grande coraggio della piccola e sconosciuta bibliotecaria Teresa Motta in tempo di guerra e dittatura.
Link all’evento: https://bookcitymilano.it/eventi/2021/biblioteche-in-azione-dal-fascismo-agli-anni-sessanta