Emanuele Alberti – Papadia, La forza dei sentimenti (Il Mulino, 2019)

Elena Papadia, docente presso il dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’università La Sapienza di Roma, propone questo volume che si inserisce in quel filone di storia politica che in particolare si occupa di storia dei sentimenti e delle emozioni. Grazie anche al confronto con Marco Manfredi, anch’egli impegnato in questi campi di ricerca, Papadia intende presentare ed evidenziare, come già espresso dal titolo, l’aspetto etico e sentimentale, cioè l’aspetto più propriamente umano, che ha caratterizzato socialisti e anarchici negli ultimi decenni del XIX secolo. L’autrice concentra la sua attenzione sull’Italia, dove forte e viva era la tradizione risorgimentale ed enorme era l’ammirazione per Mazzini e Garibaldi, figure che prediligevano l’azione e una concezione pedagogica dell’azione stessa. Questo slancio etico, figlio del Risorgimento, non si conciliava propriamente con Marx e ciò portò Engels a definire gli italiani come le “pecore nere” dell’Internazionale. All’interno di questo particolare e peculiare quadro vengono presentate le vicende, tratte da memorie, diari, carteggi e scritti personali di esponenti dell’anarchismo e del socialismo della primissima ora. L’approccio biografico è proprio della storiografia dell’anarchismo: si tratta di una specificità dovuta all’individualismo di fondo che caratterizza il movimento. Questa particolarità è interessante perché valorizza l’esperienza del singolo individuo così da far emergere quella componente etica e sentimentale dell’agire politico che alla dimensione individuale è intrinsecamente connessa (pp. 13-14). 

 Un altro aspetto molto significativo sul quale soffermarsi è la scelta della cronologia: il periodo preso in esame comprende l’ultimo trentennio del XIX secolo, cioè quell’arco temporale durante il quale si consuma la rottura tra anarchismo e socialismo, i cui esponenti, a partire da Andrea Costa, scelsero la via parlamentare della legalità. Nello specifico, gli estremi cronologici individuati sono la Comune di Parigi, alla quale parteciparono varie anime radicali, e l’assassinio di Umberto I da parte di Gaetano Bresci, momento in cui invece i socialisti erano ormai una forza parlamentare orientata verso politiche riformatrici. La cronologia viene ulteriormente arricchita nel prologo, ricordando alcune tappe, anteriori al 1870, utili per avere un quadro più chiaro dei passi compiuti, inizialmente insieme, dal movimento anarchico e socialista.  

Il volume si articola in sei capitoli all’interno dei quali vengono affrontate tematiche riguardanti la sfera privata, la sfera dei sentimenti e delle emozioni, ed è possibile così comprendere le ragioni alla base della scelta della militanza. I primi due capitoli si concentrano sulle famiglie di origine dei militanti: sul rapporto con i padri, le madri e altri membri del nucleo familiare. Quello che emerge è una continuità spesso evidente tra gli ideali democratici e repubblicani paterni e le tendenze anarchico-socialiste dei figli. Interessante è rilevare che anche laddove le esperienze erano molto differenti vi fossero esempi dove il rispetto e un certo rigore etico non mancavano e prevalevano sulle divergenze di ideali. Emblematico è il caso di Francesco Saverio Merlino: il rapporto rimase in sintonia nonostante un padre «borbonico e assolutista» e un figlio «scavezzacollo e internazionalista», come li definisce Papadia (p. 40). D’altro canto, inevitabilmente, altrettanti erano i casi di ribellione ai genitori: a tal proposito l’autrice dedica un apposito paragrafo nel primo capitolo e lo intitola “gli spostati”, indicando con questo termine i giovani borghesi che si ponevano contro la loro classe sociale di provenienza e quindi contro i loro padri e le loro famiglie. Più difficile era il rapporto tra le madri, custodi della tradizione e soprattutto dei valori religiosi, e i figli, che si avvicinavano a idee anarchico-socialiste. Accadeva che anche le figlie nutrissero un’ammirazione che poteva trasformarsi in culto verso i padri repubblicani, come nel caso di Nella Giacomelli, e si allontanassero per questo dalle madri conservatrici e cattoliche. 

 Il terzo capitolo mette in luce il fondamentale ruolo svolto dalle letture di libri, opuscoli e quindi il ruolo della letteratura nell’approcciarsi alla militanza sovversiva e, più in generale, in questo caso, nella creazione di una coscienza mossa verso la compassione e la pietà. I romanzi di Eugène Sue e di Victor Hugo, rispettivamente I Misteri di Parigi e I Miserabili, colpirono nel segno tanto che a partire dalla finzione scaturiva l’ardore di un concreto impegno nella realtà. Queste opere, insieme anche ad alcuni lavori di Emile Zola, venivano lette in Italia, unitamente alla diffusione del Verismo. La militanza andava quindi legandosi indissolubilmente con la letteratura. Una produzione letteraria che scaturiva dunque dall’esperienza e dal vissuto al punto che Pietro Gori, autore di scritti e poesie propagandistiche e militante a sua volta, sottolineava ai suoi lettori proprio questo aspetto, chiedendo loro di soffermarsi sulla rilevanza della testimonianza esistenziale e sulla veridicità che ne traspariva più che sul contenuto artistico in sé dell’opera. L’attenzione successivamente si concentra nel quarto capitolo sul rapporto e sulle relazioni tra i militanti che condividevano gli stessi ideali rivoluzionari e sull’interessante differenza tra “amici” e “compagni” come ben spiegato dalle parole di Edmondo De Amicis in Lotte civili:  

amici si può essere anche dissentendo intorno alle più grandi questioni che agitano il mondo. Compagno significa chi è avviato con noi, per la medesima strada, alla medesima meta, acceso della stessa speranza, esposto agli stessi pericoli, pronto a soccorrerci, sicuro d’esser soccorso, commosso dalla stessa gioia che commove noi (p. 147) 

Nel quinto capitolo torna il tema dell’empatia all’origine dell’adesione rivoluzionaria. Nell’adesione alle idee socialiste coesistevano ragione e sentimento, non che la prima prevalesse, né tantomeno che alla base della militanza ci fosse uno scontro tra le due componenti. In ogni caso la scintilla iniziale che spingeva ad abbracciare la fede socialista e rivoluzionaria proveniva spesso dal vissuto e dalle vicende personali: il dolore provato in prima persona portava a identificarsi nelle sofferenze altrui e nell’adesione totale alla causa; questa totalità investiva radicalmente le vite di coloro che abbracciavano la fede rivoluzionaria. Attorno ad alcune figure andava diffondendosi un’aura di sacralità sempre più spiccata, come nel caso di Giuseppe Massarenti o di Amilcare Cipriani. E’ interessante qui notare i differenti punti di vista esposti circa il culto delle persone: se da un lato vi era comprensibile idolatria e venerazione da parte delle masse di braccianti, contadini e diseredati, verso qualcuno che potesse provare pietà per loro tanto da dedicare la propria vita per la loro causa, dall’altro lato erano spesso le stesse figure elevate ad eroi o a santi che mettevano in guardia da questo eccessivo culto della persona: «si deve lottare per l’idea, e non pro o contro gli individui» affermava Cipriani in un discorso fatto ai giovani socialisti milanesi riportato su «Il Messaggero» (p. 204).  

Il sesto capitolo conclude il volume con una riflessione sull’odio. Bisogna precisare che Papadia propone l’individuazione di una possibile distinzione tra l’astio verso i singoli individui borghesi e l’astio verso la borghesia come classe, già presente nelle pubblicazioni anarchico-socialiste di fine Ottocento. Il nodo centrale riguardava dunque la personalizzazione dell’odio e la disumanizzazione dell’avversario. I borghesi si macchiavano di colpe non per difetto personale di virtù, ma in quanto inseriti all’interno di un ordinamento sociale patogeno (p. 231), come sottolinea Papadia. E allora, nonostante fossero gli oppressori, gli affamatori e i carnefici si poteva leggere sulle pagine dello «Scamiciato», il giornale di Prampolini: «noi non odiamo nessuno, neanche la borghesia, ma è altrettanto chiaro che dobbiamo distruggerla, per necessità, non per odio» (p. 232); per necessità, perché era il nemico da eliminare, perché era la cosa giusta da fare e tanto bastava. Bisognava agire e spingere gli oppressi a scatenarsi nella lotta contro la borghesia nella sua accezione ampia di classe sociale. In ultima analisi l’autrice sottolinea come proprio a ridosso del XX secolo si passò dalle parole ai fatti e si assistette a una serie di attentati compiuti da anarchici italiani che portarono alla morte di alcune delle figure di maggior spicco del panorama politico europeo.  

Lo studio di Elena Papadia si rivela essere prezioso perché mette in luce il ruolo delle emozioni, la “forza dei sentimenti” nella storia del socialismo e dell’anarchismo italiano. Un lavoro interessante che offre la possibilità di cogliere gli aspetti che spinsero i rivoluzionari a dedicare la propria vita ad un ideale.       

Emanuele Alberti