Michela Nepi – Flores-Gozzini, Il vento della rivoluzione (Laterza, 2021)

Marcello Flores-Giovanni Gozzini, Il vento della rivoluzione. La nascita del Partito comunista italiano, Laterza, Bari, 2021. 

Marcello Flores ha insegnato Storia contemporanea nell’Università di Trieste e di Siena. Si è occupato di storia dei totalitarismi e di storia dei genocidi. Con Giovanni Gozzini ha già pubblicato 1968. Un anno spartiacque (Il Mulino, 2018). Quest’ultimo invece insegna storia contemporanea all’Università di Siena. Si è occupato di storia della globalizzazione e delle disuguaglianze e di storia del giornalismo e dei media.  

Il vento della rivoluzione esce in concomitanza con il centenario del Congresso di Livorno (1921), che portò alla scissione del Partito Socialista Italiano e alla nascita del Partito Comunista d’Italia. Il volume copre gli anni dal 1917 al 1947, con un breve paragrafo sul 1956. Suddiviso in sei capitoli, racconta le origini del Partito Comunista Italiano fino ai primi anni del post-fascismo, inquadrando il partito nella situazione internazionale.  La Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Russa sono evidenziati come i due eventi che con maggiore forza condizionarono le scelte politiche della sinistra e di tutta l’Italia, determinando cambiamenti culturali, scelte economiche, radicalizzazione dello scontro politico e, successivamente, l’avvento del fascismo.   
Il volume si apre spiegando il successo della rivoluzione bolscevica in Russia, che fu determinato da quattro elementi fondamentali: la Prima Guerra Mondiale, la diffusione dei Soviet, la contrapposizione tra i Soviet e la Duma e l’esistenza di un partito rivoluzionario. Questi elementi non sono presenti nel resto d’Europa ed è per questo che, secondo gli autori, la rivoluzione è potuta avvenire solamente in Russia. Prendendo come esempio l’impero tedesco e quello austro-ungarico è possibile notare come, dopo la sconfitta della Prima Guerra Mondiale, gli eserciti mantengano il controllo e diventino strumento di repressione di moti rivoluzionari, proteggendo la struttura economica capitalistica. Invece, in Russia, grazie ai Soviet, i bolscevichi controllano buona parte dell’esercito. Un’altra caratteristica che ha fatto sì che in Russia venisse preservata la rivoluzione è stata la versatilità del leader Lenin, capace di passare dall’autodeterminazione dei popoli al tentativo (fallito) di esportare la rivoluzione in occidente con l’Armata Rossa e dall’instaurazione della NEP (un sistema economico misto, caratterizzato da un’economia di libero mercato) a una nuova alleanza coi socialisti, considerati traditori fino a poco tempo prima. I partiti comunisti occidentali, invece, sono rimasti fedeli alla Russia bolscevica, non riuscendo quindi a “sbloccare” la rivoluzione. 

Successivamente, Flores e Gozzini presentano la situazione italiana spiegando che le elezioni del 1919 hanno rappresentato un momento di svolta: i socialisti ottengono il 32% e il Partito Popolare il 20%. I due vincitori, però, non sono propensi a collaborare, tanto che il governo – retto da Nitti – durò solamente poco meno di un anno, a causa del passaggio dei Popolari all’opposizione. Durante questo periodo, nel primo dopoguerra, i principali luoghi di scontri sociali erano le campagne, dove i contadini, prima chiamati al fronte e ora tornati alle loro terre, trovano la situazione dominata ancora dai padroni reazionari, esattamente come prima della guerra. Questo porta al movimento fascista, che in quegli anni stava nascendo, sempre più consensi a causa della rumorosa assenza dei comunisti presso quelle realtà. È qui che viene criticata dagli autori la continua contraddizione della sinistra italiana che, anziché trovare dei punti in comune e collaborare insieme contro il nemico comune fascista, si concentra maggiormente sulle divergenze interne e su quale sia il metodo più corretto per attuare (o meno) la rivoluzione in Italia. Il movimento fascista, al contrario, ha saputo approfittare della debolezza dell’opposizione, attaccando tutte le strutture organizzate della sinistra.  
Gli autori riportano l’autocritica di Gramsci, uno dei leader del PCI, il quale nel marzo 1924 ammette come la scissione di Livorno, quella che diede vita al Partito Comunista d’Italia, in quanto scissione minoritaria, sia stata una sconfitta. Gramsci sostiene, inoltre, che questa minoranza sarebbe stata ancora più esigua se Bordiga, Gramsci e Terracini non avessero avuto il sostegno dell’Internazionale, la quale richiedeva l’adesione ai ventuno punti del Comintern, il cambio del nome da socialista a comunista e l’espulsione dei riformisti dal partito. Flores e Gozzini criticano quindi sia il settarismo di Bordiga – alla segreteria del primo Partito Comunista d’Italia – che ha impedito ai comunisti di approfittare di organizzazioni antifasciste capaci di combattere contro il fascismo sul terreno della violenza, sia i socialisti riformisti, così tanto indirizzati verso il municipalismo da essere indifesi di fronte alla violenza fascista.   
A questo punto, gli autori dichiarano che, secondo loro, il vero punto di svolta per il comunismo italiano fu il Congresso di Lione nel 1926, dove il nuovo segretario Gramsci (in carica dal 1924) prende le distanze dalle direttive di Mosca e si concentra sulla peculiarità della situazione italiana. Nonostante le difficoltà del partito, che in quel periodo viveva in clandestinità e in rapporti difficili con Mosca vista la morte di Lenin, Gramsci arriva alla conclusione che Mosca non può dare le medesime direttive a tutti i paesi che volevano aderire alla rivoluzione ed è da qui che inizia una nuova storia del PCI.  

Il libro si conclude con una riflessione da parte degli autori inizialmente positiva del comunismo, il quale, a differenza del nazifascismo, si basa su sentimenti “nobili”, come solidarietà e desiderio di miglioramento per tutti, non solo per pochi. Successivamente, Flores e Gozzini riportano gli aspetti più gravi e negativi del comunismo che, oltre alle morti e agli orrori perseguiti dai capi di stato e dai militanti, includono soprattutto l’essersi affidati allo Stato, in quanto vista come unica figura in grado di risollevare e proteggere il popolo (p. 210). Gli autori non sono d’accordo con questa rappresentazione dello Stato e presentano un parallelo con la realtà di oggi, che ci vede piegati dalla pandemia: lo Stato non può essere visto come soluzione a ogni problema. È fondamentale in campi come salute e scuola, «[…] ma non può sostituirsi alla libera capacità creativa degli uomini e delle donne in carne e ossa». 

Il volume è un significativo contributo sulla storia del comunismo in Italia anche se, talvolta, le interpretazioni dei due autori tendono a mettere in ombra la ricostruzione dei fatti. Utile – come sottolineano gli autori stessi in conclusione del libro – sarebbe stata, inoltre, una maggiore attenzione al ruolo delle donne protagoniste di quest’epoca. Molto interessante, infine, è l’apparato fotografico, principalmente proveniente dall’Archivio centrale di Stato e dall’Archivio fotografico dell’Istituto del marxismo-leninismo. 
 

Michela Nepi