Paolo Barcella, La Lega. Una storia, Roma, Carocci, 2022

La Lega. Una storia, edito da Carocci nel 2022, è uno degli ultimi sforzi di Paolo Barcella, docente di storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Bergamo. Si tratta di un contributo rilevante negli studi della storia del partito della Lega, storia analizzata nella sua interezza partendo dal contesto socioeconomico degli anni ‘70 fino ad arrivare alla pandemia. Il volume, grazie al suo taglio storico, è sicuramente di primaria importanza per tutti coloro che si approcciano per la prima volta agli studi della storia di questo partito: gli studiosi possono qua trovare sia una sintesi delle tappe fondamentali della storia leghista, sia un punto di partenza per altri percorsi di ricerca che inevitabilmente si aprono leggendo queste pagine. Grazie al taglio stilistico chiaro e scorrevole, La Lega diviene un contributo utile anche a quei lettori interessati che sentono il bisogno di avere più informazioni su un partito che, alla data odierna, si trova nella maggioranza di governo ed è presente nel territorio del nostro paese fin dagli anni ’80.

Barcella, originario della provincia di Bergamo, si è imposto negli ultimi anni come esperto di storia delle migrazioni italiane, con particolare riferimento alla Svizzera, e delle culture xenofobe in Europa: questo particolare percorso di studi ben si lega al volume in questione in quanto emerge come filo conduttore e chiave di interpretazione fondamentale in tutto il libro. Inoltre l’autore non si limita a ricostruire gli avvenimenti storici, ma individua per ogni stagione del partito i limiti, i punti di forza e le trasformazioni.

Nell’introduzione l’autore spiega il taglio storico del contributo, scelta meno frequentata da altri autori rispetto al taglio politologico. Proprio per questo motivo Barcella, complice anche la limitata produzione politico-ideologica leghista, indica come fondamentali le fonti esterne agli archivi della sede di via Bellerio: sono difatti utilizzate un grande numero di fonti sindacali, giornalistiche, radiotelevisive, manifesti, documenti firmati da uomini di partito e studi di natura sociopolitica, economica e antropologica. Va inoltre sottolineato che la Lega ha aperto i suoi archivi solo a fine settembre 2022, pochi mesi dopo la pubblicazione del volume.

Nel primo capitolo l’autore, dopo aver indagato il contesto socioeconomico di fine anni ’70 e i suoi squilibri, formula un’importante tesi sulla genesi del partito, figlia dei suoi studi sulle migrazioni: per capire le ragioni profonde della nascita e della prima affermazione della Lega, bisogna innanzitutto guardare alla mobilità transfrontaliera della popolazione settentrionale e alla condizione di gastarbeiter, lavoratori ospiti, in cui furono relegati gli emigranti. L’emigrazione ha segnato profondamente il pensiero leghista delle origini tanto da condizionare i rapporti con i migranti meridionali arrivati per lavorare all’interno dell’apparato statale: i settentrionali si comportavano nei loro confronti nella stessa maniera ostile e polemica che avevano subito all’estero. La tesi per cui la lunga compresenza di emigrazione e immigrazione all’interno dei territori all’infuori del triangolo industriale è la chiave di volta sui cui è costruito il primo capitolo. Barcella è molto attento a sottolineare come questa concezione sia l’innesco in un ambiente favorevole della causa leghista: tanto più che questa spinta non si esaurì in poco tempo, segnando il pensiero leghista anche di fronte agli immigrati extra-europei. Il successo iniziale della Lega Nord è ascrivibile all’imprescindibile figura di Umberto Bossi che creò, dopo un periodo di avvicinamento e di studio della causa autonomista, la Lega Autonomista Lombarda, movimento centrato sulla sua figura e permeato di rivendicazioni economiche: la crisi dei partiti e le trasformazioni degli anni ’80 fornirono un terreno favorevole alla causa leghista e alla nascita nel 1989 della Lega Nord. L’allora neo-senatore era riuscito ad arrivare dove i movimenti autonomistici regionali precedenti avevano fallito, creando un partito che andasse a rappresentare gli interessi dell’intero Nord.

Il secondo capitolo analizza la Lega nella svolta portata dagli anni ’90, anni nei quali il partito emerse sul piano nazionale grazie all’interesse giornalistico e alle prime irruzioni nelle istituzioni: ciò portò il partito nel 1994 alla veloce discesa e risalita da Roma con un ritorno purificatorio in provincia. Sono anche gli stessi anni in cui venne abbandonato il dilettantismo a favore di una lenta creazione di una concezione identitaria legata al federalismo integrale. Non a caso l’autore definisce questa fase come gli anni del doppio movimento, sottolineando la difficoltà della Lega di inserirsi in una politica bipolare senza comunque riuscire ad imporsi come terzo polo alternativo alla destra e alla sinistra, la quale tentò a metà anni ’90 un flirt politico con Bossi: pesava infatti il voto degli operai alla causa leghista. Non si può comunque considerare la Lega un partito operaio in quanto andava a rappresentare gli interessi della comunità dei produttori, ovvero operai e imprenditori uniti: lo scontro tra le due classi si annullava in presenza di rapporti parentali e amicali tipici delle piccole-medie imprese settentrionali. La “via leghista” del superamento del marxismo apre a interessanti nuovi percorsi di ricerca. L’allontanamento dai due poli portò alla fase identitaria del federalismo etnico con istanze secessioniste il cui apice fu l’invenzione della Padania: fu una fase eccentrica che si contrappose al periodo successivo di consolidamento del partito.

Il terzo capitolo del volume analizza la prima decade del nuovo millennio, decade nella quale la Lega rafforzò e definì la sua questione identitaria con la traslazione del partito all’interno della destra radicale. La fine delle idee secessioniste a favore di una devolution federale e la trasformazione, dopo l’11 settembre, in partito cristiano conservatore, a scapito delle concezioni identitarie neoceltiche, portarono la Lega, nonostante le débâcle elettorali, a consolidarsi sia come forza di governo che come forza di opposizione. Nella prima fase di ritorno al governo, caratterizzata da un linguaggio aspro contro gli immigrati specialmente di fede islamica (torna qua prepotentemente la teoria dei gastarbeiter), le questioni della devolution e dell’improvvisa malattia di Bossi pesarono e si intrecciarono tra loro: Barcella analizza questa fase portando alla luce il fatto che la Lega fosse un partito personale legato in maniera indissolubile a Bossi che divenne di fatto insostituibile, pena la sopravvivenza stessa del partito. Il ritorno quasi eroico del Senatùr rilanciò il federalismo che, dopo l’approvazione, fu bocciato al referendum del 2006, anno in cui la Lega era tornata all’opposizione. L’ultima parte di questa decade vede la Lega tornare nuovamente al governo, inaugurando una forte stagione di consenso dovuta alla decisione di sposare i temi della sicurezza, specialmente contro gli immigrati, e del decoro urbano.

Nel quarto capitolo Barcella individua una nuova fase che è totalmente diversa dalle altre in quanto il partito venne messo in discussione da molti fattori: il colpo finale sopraggiunse nel momento in cui risultò evidente che parte del finanziamento pubblico al partito era drenato dalla famiglia di Bossi, il quale decise di dimettersi. La Lega Nord, che aveva sempre rivendicato una certa purezza, attraversò una fase di forte crisi: il pilastro fondamentale rappresentato da Bossi era stato reciso e il partito reagì vigorosamente optando, come dopo il 1994, a un ritorno purificatorio in provincia: a Bergamo il partito fu affidato a Roberto Maroni. Dopo la sua elezione a presidente della Lombardia, la Lega Nord fu affidata a Matteo Salvini: nonostante la pubblicistica si soffermi molto sulle differenze tra la fase bossiana e salviniana, Barcella è abile nel sottolineare invece gli elementi di continuità. Salvini traslò la strategia leghista dal Nord all’intero Paese, con un allargamento a Sud a suon di “Prima gli Italiani”: la fine della pregiudiziale antifascista bossiana aprì a Salvini, capace di fruttare abilmente gli spazi televisivi e i social network grazie al suo stile “pop”, le porte dell’elettorato conservatore meridionale (dalla Lega Nord alla Lega) e le porte del governo nel 2018. Il volume si conclude con l’insensata crisi di governo aperta da Salvini e con l’esplosione della pandemia nella culla leghista di Bergamo: il Covid portò al pettine i nodi dell’azione e della subcultura leghista, con una spaccatura tra i leghisti responsabili e un Salvini vicino ai no-mask, spaccatura efficacemente presentata dall’autore. La pandemia ha dimensionato il successo della Lega, a favore di una sempre più affermata Giorgia Meloni.

In definitiva, La Lega. Una storia è un testo ben riuscito che offre al lettore, oltre che a una panoramica storica convincente, nuove tesi e prospettive con le quali rileggere l’operato della Lega: in particolare la tesi dei gastarbeiter apre le porte a nuove indagini di natura antropologica e sociale. Paolo Barcella accenna a innumerevoli questioni che evidentemente non possono essere approfondite nel volume, ma aprono a nuovi percorsi di ricerca che non sempre sono stati battuti e che possono espandere la ricerca stessa anche al di fuori dell’Italia: mi riferisco in particolare ai rapporti tra la Lega e i movimenti, sia autonomisti che di destra, dentro e fuori l’Europarlamento.

Matteo Baleani