Pietro Scudieri – Lentano, Romolo. La leggenda del fondatore (Carocci Editore, 2021)

Mario Lentano, Romolo. La leggenda del fondatore, Carocci Editore, Roma, 2021.

«È possibile scrivere la biografia di un uomo che non è mai esistito?» (p.10). Questa è la cruciale domanda da cui prende le mosse il volume considerato di Mario Lentano, professore di Lingua e Letteratura Latina presso l’Università degli studi di Siena. Tutto dipende dal significato che diamo alla parola “esistenza”, sostiene lui. Pertanto, se si sta trattando di un personaggio la cui presenza e le cui azioni, seppur leggendarie, hanno dominato per secoli le forme dell’immaginario collettivo e la memoria culturale successiva, allora perché non poter pensare che quest’uomo sia davvero “esistito”, nonostante non sia mai vissuto realmente.

La saga di Romolo, il protagonista della «leggenda romana per eccellenza» (p. 10), brillante esempio della stratificazione della tradizione letteraria antica, si rivela come un tema complesso e ambiguo in cui appare ardua impresa districarsi. Romolo stesso, fondatore e primo re di Roma, si dimostra una figura su cui il tempo ha prodotto un costrutto mitico di grande e condiviso valore, ma intorno al quale gravitano forti incertezze, tanto in merito alle differenti versioni del racconto presenti, quanto sulle esatte coordinate cronologiche dei momenti in cui le leggende furono prodotte e stratigraficamente sovrapposte. Per questo motivo, avvicinarsi allo studio della tradizione sulla leggenda di Romolo significa prima di tutto scontrarsi con un’ampia quantità di documenti alcuni provenienti dal mondo antico, mentre altri da quello moderno che affrontano il cruciale tema dei primi momenti di vita della città di Roma; argomenti sui quali, fin dal VI secolo a.C., studiosi e intellettuali greci, prima, e romani, poi, si sono a lungo confrontati. A conferire maggiore complessità alla leggenda di Romolo v’è la consapevolezza di come essa non sia solo il prodotto di una sovrapposizione di elementi differenti, di diversa natura e provenienza, ma fu anche oggetto di intenzionali e razionali manipolazioni condotte con varie finalità, il più delle volte politiche, che furono la causa primaria delle presenti incongruenze e dei passaggi ambigui che la tradizione su tale leggenda contiene e riferisce.

Così, alla domanda che M. Lentano pone a se stesso e al contempo al lettore in merito a come, dove e quando debba essere collocato il principio della storia dell’eroe che fondò la città più grande e celebre di tutta l’antichità si (e ci) risponde affermando che “la storia di Romolo comincia da molto lontano, forse addirittura all’estremo orientale del Mediterraneo” (p. 20). Dunque, in fronte a questa più che complessa situazione, lo studioso sceglie di partire da una vicenda inquadrata agli albori della civiltà occidentale: la guerra di Troia; un evento grandioso, ma dai contorni sfumati, strattonato tra la storica realtà dei fatti e la fervida immaginazione dei popoli antichi. Ecco che allora per giungere al Romolo fondatore di Roma sul colle Palatino, quello che più spesso siamo condotti a immaginare nel cuore della città eterna, è necessario passare per una preliminare e intricata rete di luoghi e personaggi meno noti, i quali, dopo circa tre o quattro secoli, hanno portato a lui. La sua leggenda, dunque, prese le mosse dalla fatidica ultima notte di Troia, quando gli eserciti di Agamennone, Achille, Menelao e Ulisse, gli eroi mitici del conflitto, penetrarono le mura della città rivale, riducendola in cenere. In tale drammatico contesto, si leva sotto i riflettori un nuovo protagonista: Enea, colui che avrebbe condotto un gruppo di superstiti troiani verso le lontane sponde del Lazio. Non è conosciuto esattamente il momento in cui la leggenda di Enea[1], in fuga verso più sicuri lidi con i pochi profughi della disastrosa guerra, si sia così strettamente intrecciata con quella di Romolo e Remo, anche se, perlomeno per quanto riguarda l’Occidente, sono attestati diversi riferimenti iconografici raffiguranti Enea e il suo mito in età molto arcaica[2], forse nel VI sec. a.C. Di certo, almeno a partire dagli ultimi decenni del III secolo a.C., appare già certificata la saldatura tra le leggende in questione, in origine indipendenti e secondo alcuni studiosi anche incompatibili tra loro[3], tanto nelle esposizioni dei primi poeti latini di cui abbiamo notizia, come Ennio o Nevio, quanto più nel sistematico contributo conferito da Fabio Pittore, grazie al quale sembra avere avuto inizio la canonizzazione della leggenda inerente alle vicende dei più celebri gemelli della storia della città. E sarà proprio da qui che dovremo intraprendere il percorso che ci condurrà alla nascita di Romolo e Remo.

Il volume di M. Lentano considerato ripercorre tutte le fasi dello svolgimento delle vicende inerenti al mito di Romolo, non dimenticando di ricordare le molte varianti intorno agli eventi cruciali della vita del fondatore di Roma. In particolare, è sui momenti più controversi di tale leggenda, imperniati intorno a una profonda differenza tra varianti mitiche parallele che in modo ambiguo gravitano intorno al nostro personaggio, che pone maggiore attenzione. Indici di tale asserzione risultano essere in particolare tre momenti: il concepimento dei gemelli, secondo la vulgata tradizionale figli di Marte e della vestale Rea Silvia, il caso della morte di Remo e la vicenda inerente alla misteriosa scomparsa di Romolo. Questi eventi, che in modo ritmico e circolare scandiscono il racconto della vita del fondatore, sono anche quelli su cui circolano il maggior numero di varianti alla narrazione, dalle versioni del racconto alternative a quello più conosciuto o più diffuso dalla letteratura. Ad esempio, in merito alla questione del concepimento dei gemelli, M. Lentano ricorda la presenza di una seconda variante che, parallelamente a quella menzionata, circolava per le strade di Roma. Tale racconto, attribuito alla penna di Licinio Macro (Orig. XIX, 5), prevedeva per Rea Silvia una violenza carnale da parte dello zio, alla quale avrebbe posto rimedio inventando la storia del congiungimento con Marte e attribuendogli la paternità dei gemelli. Allo stesso modo, per quanto riguarda il tragico caso della morte di Remo, altro tema difficilmente inquadrabile, le fonti in merito presentano notevoli discrepanze. In effetti, se alcune incolpano Romolo di aver ammazzato il fratello spinto dalla volontà di possedere il regno tutto per sé, altre lo scagionano, o legittimando la sua azione, o incolpando un altro uomo: un certo Celere. In particolare per tale tematica, le versioni prodotte sembrano essere il risultato di una feroce propaganda sviluppatasi nel corso della tarda repubblica, un periodo fortemente segnato dalla strumentalizzazione politica della figura di Romolo, il quale, nelle lotte tra le fazioni o tra i grandi protagonisti della politica, fu considerato ora padre della patria, ora monarca tirannico. Chiaro quindi che il fondatore di Roma, per la sua enorme valenza simbolica, abbia avuto una considerevole eco politica anche nei tempi successivi. Analogamente, indice della difficoltà interpretativa della leggenda sembra essere anche l’ultimo dei temi citati dall’autore: la scomparsa di Romolo, culmine delle ambiguità prodotte dalla tradizione. Ciò trovava riscontro già negli ultimi decenni dell’età repubblicana in quanto affermato da Dionigi di Alicarnasso (II, 56, 2), il quale confermava come sull’argomento fossero presenti molte e differenti versioni. Curioso, nella descrizione dell’evento, come le fonti, opponendosi l’una alle altre, avessero strutturato due varianti distinte e per molti tratti inconciliabili dello stesso evento. Di fatto, all’immagine di un Romolo divinizzato, assunto tra gli dei con il nome di Quirino per volontà di Giove e del padre Marte, si schierava innanzi una variante della tradizione che prevedeva un epilogo del tutto contrario per il primo re di Roma, un epilogo tragico, costruito su quella stessa fine che si augurava a molti tiranni nel mondo antico: una morte violenta. Tale seconda variante, infatti, racconta come Romolo, date le dispotiche modalità con cui avrebbe governato lo Stato, fosse stato ucciso dai senatori nella Curia e le parti del suo corpo, smembrato con ferocia, fossero state nascoste sotto le loro larghe toghe per celare l’accaduto.

Dunque, è con grande destrezza, ma soprattutto con grande capacità di sintesi, nonostante la complessità dei temi trattati, che Lentano ha preso in esame questi ardui momenti della vita di Romolo, enucleando e spiegando tutte le varianti che la tradizione letteraria ha prodotto.

In conclusione, si ritiene particolarmente esplicativo ciò che afferma l’autore in coda alla sua introduzione sulla necessità di essere «consapevoli che di un mito non esiste mai una versione autentica e una spuria e che la biografia di un personaggio leggendario è la somma di tutte le biografie che sono state inventate per lui, nessuna delle quali ha il diritto di essere considerata più vera o più falsa delle altre» (p. 10). In questi termini, il volume di Lentano risponde positivamente alla domanda posta in principio sulla possibilità di scrivere la «biografia di un uomo che non è mai esistito».

Pietro Scudieri


[1] J. Cornell, Aeneas and the twins. The development of the Roman foundation legend, in “Proceedings of the Cambridge Philological Society”, 21 (1975), pp. 1-31, p. 3.

[2] A. Alföldy, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1971, pp. 278 ss.

[3] R.M. Ogilvie, A commentary on Livy. Books I-V, Oxford 1965, p. 32.