Antonino De Francesco, Repubbliche atlantiche. Una storia globale delle pratiche rivoluzionarie (1776-1804), Raffaello Cortina, Milano, 2022

Come l’autore sottolinea nell’introduzione, il testo si propone di mettere in luce i fili che uniscono le tre rivoluzioni che portarono, tra il 1776 e il 1804, alla formazione di repubbliche in Nord America, in Francia e ad Haiti. Una prospettiva di intrecci, influenze e rimandi sopita dalle differenti direzioni intraprese dai tre paesi nel corso dell’Ottocento, riscoperta in occasione della Prima guerra mondiale, di nuovo messa da parte a causa dell’isolazionismo statunitense e dell’interpretazione bolscevica della vicenda francese, ed infine definitivamente tornata in auge con il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda. Centrali nel quadro di una storia atlantica sono il rapporto tra coloni e nativi, la schiavitù e il conflitto commerciale occorso all’indomani della Guerra dei Sette anni, che fecero da retroterra e accompagnarono le rivoluzioni. L’autore si propone di analizzare gli eventi, non comparandoli, ma individuando le interazioni, declinate in forma di diplomazia, alleanze, conflitti e pubblicazioni che percorsero da un lato all’altro l’Atlantico, avendo come filo conduttore l’ordinamento repubblicano.

Nella prima parte De Francesco analizza la Rivoluzione americana a partire dalla Dichiarazione d’indipendenza, sottolineando con forza i valori e principi inediti che diventarono così oggetto di dibattito pubblico. Descritti gli eventi che portarono alla guerra contro il Regno Unito e la spaccatura creatasi tra lealisti e indipendentisti – rivolgendo un’attenzione costante all’influenza che la diffusione delle idee esercitò sugli eventi concreti – l’autore passa alla descrizione delle vicende belliche fino alla pace di Parigi e al riconoscimento dell’indipendenza. Sono analizzati poi i due momenti costituenti e le differenti posizioni sostenute da federalisti e repubblicani, che aprirono un confronto destinato a segnare anche gli anni successivi. La conclusione del capitolo è dedicata alla ricezione da parte degli europei delle notizie che giungevano dall’America: queste determinarono, soprattutto in Francia, una proliferazione di scritti politici e di traduzioni delle costituzioni approvate oltreoceano a livello federale o statale, che trovarono terreno fertile nell’insofferenza verso gli istituti e i privilegi tipici dell’antico regime.

Il secondo capitolo affronta i primi anni della Rivoluzione francese, ripercorrendo la convocazione degli Stati Generali, la nascita dell’Assemblea nazionale costituente e l’approdo alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. L’autore dimostra che l’esempio americano era sempre tenuto presente, in particolare nella concitata fase di preparazione della carta costituzionale del 1791. Inoltre, altre importanti questioni animavano i dibattiti, quali l’abolizione della schiavitù, con le sue ricadute ideali ed economiche, i diritti delle minoranze, enunciati ma non rispettati, e l’emancipazione femminile. De Francesco analizza in particolare l’intreccio del dibattito che sorse tra abolizionisti e depositari di interessi nelle colonie, con particolare riferimento a Santo Domingo, con l’esigenza sostenuta da un vasto ed eterogeneo fronte di muovere guerra alle potenze europee. Esamina inoltre i molti legami tra la Francia e gli Stati Uniti, da Lafayette che avrebbe voluto proporsi come nuovo Washington, nella duplice veste di generale e presidente, alla divisione tra federalisti e repubblicani, che ebbe come parallelo la dialettica tra foglianti e giacobini. In chiusura di capitolo si introduce la figura di Toussaint Breda, un nero libero di Santo Domingo che, inserendosi nelle complicate vicende dell’isola, si ritagliò un ruolo da assoluto protagonista, lottando per la liberazione degli schiavi, ma conservando sempre una sensibilità da uomo di antico regime.

Nella terza ed ultima parte l’autore prosegue l’analisi del rapporto tra Francia e Stati Uniti, intersecandolo con le vicende di Santo Domingo; prende in considerazione soprattutto il tentativo di riprenderne il controllo effettuato da Bonaparte, un’operazione che, fallendo, avrebbe sancito l’indipendenza di fatto dell’ex colonia e la nascita della Repubblica di Haiti (riconosciuta però soltanto nel 1838). Questi rivolgimenti politici ebbero importanti ripercussioni non solo in Francia, ma anche sulle relazioni tra le repubbliche atlantiche, specie in corrispondenza dell’avvicendarsi alla presidenza degli Stati Uniti di esponenti del fronte repubblicano o di quello federalista. Nella conclusione De Francesco evidenzia come l’infruttuosa spedizione di Bonaparte nella colonia promosse in Francia un fronte che coniugava la condanna della politica rivoluzionaria e tesi razziste basate sulla presunta alterità ed inferiorità della popolazione di colore: in particolare, si attribuivano le responsabilità principali dell’instabilità politica dell’isola ai mulatti, in quanto contemporaneamente portatori dei difetti dei neri e incapaci di godere degli elementi civilizzatori derivanti dalla loro parziale origine bianca. Inoltre, l’autore sottolinea che a lungo nell’ottica europea e statunitense le vicende che portarono all’indipendenza haitiana furono interpretate come il mero prodotto di un conflitto tra bianchi, un incidente di percorso da dimenticare: una prospettiva che spiega per quale ragione tale esperienza repubblicana sia a lungo rimasta in un cono d’ombra.

Tommaso Nosetti