Michel Pastoureau, Medioevo simbolico, Laterza, Roma-Bari, 2019

Il colore, il simbolo. Temi poco affrontati, sui quali storici e archeologi sono stati in silenzio per molto tempo. Michel Pastoureau appartiene a una generazione di studiosi che tramite l’approccio multidisciplinare proprio della cultural history, ha indagato argomenti una volta abbandonati alla “storia minore”. È curioso notare come invece gli stessi temi fossero, già nello scorso secolo, al centro di mediocri libri di divulgazione. Queste opere dal carattere esoterico sono oggetto di una feroce critica da parte di Pastoureau.
Il saggio qui presentato, Medioevo Simbolico, corona i trentennali studi dell’autore sulla storia del colore, sulla storia dei simboli e sull’araldica. Pastoureau è infatti dal 1983 direttore dell’Ècole pratique des hutes ètudes, dove è anche titolare della cattedra di Storia della simbologia medievale. Il volume, pubblicato per la prima volta in Francia nel 2004 ha riscontrato da subito un grande successo; in seguito ha avuto diverse riedizioni. La tesi portava avanti è che un sistema simbolico definisca il rapporto degli uomini medievali con animali, piante, oggetti e colori. Questa tesi appare nel primo capitolo, che funge da introduzione. Qui, l’autore spiega l’importanza del vocabolario latino nello studio del simbolismo medievale; infatti l’accezione di un termine in tale lingua determina il significato che si cela dietro ogni parola. Pastoureau critica poi la metodologia storiografica tramite la quale in passato è stato studiato il simbolismo, giudicandola troppo meccanica. L’autore infatti, per comprendere meglio il periodo in questione, ha studiato fonti particolari, “vive”, come le biografie degli artisti, le opere letterarie ambientate nel Medioevo, i tesori delle chiese. Ivanhoe di Walter Scott in tal senso si è rivelato una miniera di informazioni. Il libro, inizialmente celebrato da pubblico e critica, è stato in seguito fatto a pezzi dagli studiosi e infine, nella seconda metà del Novecento, dimenticato da tutti. Nonostante contenga più di un errore storico, l’autore sostiene che, leggendo Ivanhoe, si comprenda la simbologia medievale meglio che in qualunque altro documento. Il romanzo ha avuto anche il merito di fare appassionare al mondo medievale generazioni di studiosi.
Pastoureau puntualizza che il Medioevo è erede di tre insiemi culturali: quello biblico, quello greco-romano e quello barbaro. Un gruppo di capitoli si sofferma sulla storia dell’animale e in particolare sul dibattito giuridico e teologico intorno alla volontà e alle responsabilità delle bestie, che vengono talvolta paragonate agli umani. Pastoureau accenna alla scarsità di informazioni provenienti dagli archivi giudiziari francesi di epoca medievale. Nonostante ciò, riesce a riportare alcuni casi di scomuniche contro insetti e il singolare processo contro una scrofa accusata di aver ucciso un bambino. La bestia viene vestita in abiti da uomo, interrogata e in seguito condannata a morte. In questo saggio viene indagato anche il ruolo giocato dalla Chiesa nell’attribuire ad alcuni animali una valenza simbolica benefica o malefica. Viene illustrato come la Chiesa abbia celebrato il leone e le sue qualità simboliche come la regalità, fino a inserirlo in una dimensione cristologica. Dagli studi sull’araldica, emerge che il leone sia l’animale rappresentato con più frequenza sull’arme medievali; nell’Età moderna questa statistica non varia. Dall’altra parte si assiste al declino dell’orso e del cinghiale, le caratteristiche negative dei quali vengono enfatizzate per trasformarli in animali diabolici. Nella seconda metà del Basso Medioevo infatti la caccia al cinghiale viene sostituita da quella al cervo. Questo passo fa capire come la simbologia non abbia esclusivamente un valore astratto, ma al contrario abbia un peso concreto sulla vita quotidiana degli uomini del Medioevo. Alcuni simboli arrivano persino a condizionare aspetti culturali del mondo di oggi.
Un’altra serie di capitoli è incentrata sui vegetali. In particolare l’autore esamina il legno, che per la cultura medievale è un materiale vivente. Per Pastoureau non è casuale che le superstizioni sulle statue piangenti riguardino statue di legno e non di pietra. Non è casuale neanche che la tradizione medievale abbia fatto di Gesù Cristo il figlio di un carpentiere, nonostante i testi canonici rimanessero vaghi sulla professione del padre. La simbologia del legno si collega all’albero dal quale esso viene ricavato. Esistono quindi alberi benefici come il tiglio e invero i tigli vengono sovente piantati vicino agli ospedali. Esistono poi alberi malefici come il tasso. Il termine latino taxus qui gioca un ruolo importante, poiché evoca il concetto di toxicum, cioè veleno e il legno di questo albero viene usato perlopiù per costruire armi.
La parte centrale del libro analizza la storia del colore. Difficoltà documentarie, metodologiche ed epistemologiche; questi sono, a detta dello stesso autore, gli ostacoli che hanno a lungo impedito lo studio del colore nel medioevo. Per molto tempo il Medioevo è stato considerato un’epoca “in bianco e nero”. È importante capire la diversa percezione dei colori fra noi e gli uomini medievali. Viene portato l’esempio del blu, che è considerato oggi un colore freddo. Per la sensibilità medievale, invece, esso è un colore caldo poiché è connesso al concetto di aria calda. Bisogna tenere a mente che il sistema di illuminazione medievale, basato sulla torcia e sul lume ad olio, produce una luce che è diversa da quella elettrica, pertanto è arduo per gli storici comprendere come gli uomini medievali vedessero i colori. L’autore ha dedicato a questo argomento i volumi Dictionnaire des colours de notre temps e L’uomo e il colore. Ritornando alla simbologia del colore, è ancora una volta la Chiesa a svolgere un ruolo importante. Da principio i papi bandiscono il colore; in seguito lo accettano, ma ne codificano l’uso. È Innocenzo III, quando egli è ancora un giovane cardinale, a dare ai colori una carica rituale. Questa parte della vita del celebre papa era celata fra rari documenti ecclesiastici; per riportarla alla luce, c’è stato bisogno di un meticoloso lavoro di ricerca da parte dell’autore. Sul finire del Millecento comunque Il bianco diventa il colore delle vesti dei sacerdoti durante le celebrazioni della Pasqua, del Natale e dell’Epifania. Il nero invece domina i funerali e il periodo dell’Avvento. Possiamo notare come queste regole perdurino ancora oggi. Con la riforma protestante invece si assiste a una guerra contro il colore, tanto che, secondo Pastoureau, si può parlare di una “cromoclastia” della Riforma. Il colore nel Medioevo è quindi simbolico e anche politico. Il blu, che era detestato in epoca romana e durante l’Alto medioevo, viene rivalutato fino a diventare il colore della monarchia francese. Altri colori invece vengono demonizzati. Il giallo diventa il colore della falsità; esso viene ricollegato agli ebrei. Il rosso invece viene connesso ai traditori come Giuda, Caino e Mordred, i quali dal XII secolo vengono rappresentati sempre con i capelli di tale colore. Nel periodo in cui Verga scrive Rosso Malpelo (e forse anche dopo) sopravvive la reputazione negativa delle persone con i capelli rossi. Ecco un altro esempio di come il simbolismo medievale aiuti a comprendere l’origine delle superstizioni tutt’ora esistenti. Anche la distribuzione del colore ha una sua importanza; esso deve essere puro e uniforme, mai rigato o chiazzato. Per questo motivo nel Medioevo sono malvisti i tintori, i quali hanno spesso il corpo macchiato dai vari colori con cui lavorano. Inoltre infector, il termine latino per tintore, si ricollega al significato di infettare. Pastoureau descrive inoltre come le figure e i colori che compongono l’arme medievali abbiano precise regole di composizione riguardo all’impiego dei colori. Ci sono due gruppi distinti di colori ed è vietato sovrapporre tonalità appartenenti allo stesso gruppo. Le bandiere delle nazioni contemporanee si attengono ancora a queste regole.
Viene analizzato anche il simbolismo che si cela dietro ai giochi medievali, come ad esempio gli scacchi. Se la lettura risulta scorrevole per gran parte del saggio, in questo capitolo appare addirittura accattivante. Ciò è forse dovuto alla passione dell’autore per la narrazione; passione ereditata dal padre Henri, che era uno scrittore. Vengono analizzate le tappe della diffusione degli scacchi nell’Europa medievale. Sebbene il gioco sia condannato dalla Chiesa a causa della sua origine musulmana, i singoli pezzi vengono venerati, tanto che talvolta sono stati trovati nei tesori nascosti delle abbazie. Un gioco altrettanto popolare è la riproduzione delle giostre dei cavalieri di re Artù. A questo gioco partecipano non solo nobili, ma anche borghesi delle città mercantili. Durante tali giostre i partecipanti impersonano i cavalieri e si fanno chiamare con i loro appellativi; ciò ha contribuito alla diffusione dei nomi della leggenda arturiana fra gli uomini medievali, anche i più comuni. Ci sarebbero state altre cose da dire su questo originale lavoro, ma mi è stato possibile solo riportare i passi più rilevanti. In conclusione, Pastoureau ha indicato una strada che può e deve essere approfondita; ci sono molti documenti che aspettano ancora i loro storici.

Federico Coscia