Pietro Scudieri – Camous, Tarquinio il Superbo (Salerno editrice, 2017)

TARQUINIO IL SUPERBO:  LA LEGGENDA NERA DEL RE ETRUSCO DI ROMA 

Thierry Camous, Tarquinio il Superbo: la leggenda nera del re etrusco di Roma, Salerno Editrice, Roma, 2017. 

«Non è facile accertare quanto di verità storica la saga romana sia in grado di disvelare intorno all’epoca della monarchia», sostiene G. Cecconi in La città e l’impero (Carocci, 2009).  Niente di più vero, penso. In effetti, lo studio della storia di Roma arcaica è un complesso lavoro di analisi e critica di fonti di dubbia attendibilità, realizzate secoli dopo gli eventi di cui trattano. Per questa ragione, le prime difficoltà nascono sia dalla comparazione di differenti tradizioni che dalla raccolta di frammenti cronologici non in grado di ricostruire una storia, il più possibile veritiera, di quel passato così incerto e lontano. I sette re di Roma appaiono circondati da un’aura di mistero che ancor oggi suscita interesse; uomini, questi, dai contorni mitologici e costruiti su stereotipi necessari a giustificare le esigenze ideologiche della Roma che meglio conosciamo. La tradizione antica assegnò loro ruoli, compiti e forme che dovevano rispecchiare le necessità della favola nazionalistica romana, una narrazione i cui contenuti, almeno parzialmente, prescindono dalla reale storicità degli eventi. Per tale motivo, si rivela indispensabile leggere criticamente questi racconti al fine di poter cercare di estrapolare una possibile verità all’interno di un marasma di informazioni corrotte. In quest’ottica, il periodo monarchico dovrebbe intendersi come il momento embrionale della storia della città: considerato tendenzialmente positivo si compone di personaggi archetipici di dubbia storicità. In conseguenza, il compito di chi studia tali argomenti è, prima di tutto, quello di discernere tra ciò che è fantasia e quello che, invece, potrebbe dimostrarsi reale, poiché la storia di Roma monarchica e, in senso stretto, quella del Superbo sono intrise di ideologia e mitologia che inducono alla confusione.  

Da tale consapevolezza prende avvio l’opera di T. Camous – ricercatore e professore di Storia Romana presso l’Università di Nizza –, autore di un lavoro che intende approfondire criticamente forme e circostanze inerenti all’ultima fase della monarchia arcaica e indagare su come la storiografia romana abbia costruito la figura di Tarquinio il Superbo. Questo saggio, diviso in più parti dal suo autore, nel primo capitolo si sofferma sulla comprensione della struttura regia del VI secolo a.C., sul rapporto culturale e politico creatosi tra Romani ed Etruschi e su come la prima autorità cittadina abbia assunto caratteristiche progressivamente tendenti al dispotismo, evidenziando una linea ascendente che da Tarquinio Prisco giunge fino al Superbo. Infatti, Camous riscontra come gli autori presi in considerazione ci presentino una successione di sovrani che doveva inesorabilmente avere un’evoluzione degenerativa verso l’assolutismo: Tarquinio Prisco fu il primo a “brigare” per ottenere il potere grazie alle sue ricchezze e alla sua politica clientelare; Servio Tullio fu addirittura proclamato re con un inganno messo in opera dalla regina precedente, uno schiaffo per l’antica aristocrazia; in quanto al Superbo, il peggiore dei re di Roma, le fonti raccontano con precisione come riuscì a ottenere il trono solo attraverso il regicidio e il sangue dei suoi oppositori. In effetti, ciò che in questa sezione Camous esamina con grande lucidità, risponde non solo ai rapporti tra Etruschi e Romani, ma anche a come la tradizione abbia voluto evidenziare la degenerazione della monarchia verso poteri tirannici e personali; dunque, Camous mette in luce la differenza che bisogna cogliere tra quello che si dimostra il reale corso degli eventi e l’influenza della tradizione storiografica che a sua volta interpreta un momento. Interessante, in tal senso, è il rigore metodologico con cui l’autore procede. Egli prende in esame i contenuti attraverso le fonti: introduce nozioni e concetti che spiega e giustifica utilizzando come supporto testimonianze di vario genere. Infatti, non presenta alcuna informazione, reale o mitologica che sia, priva del suo riferimento documentario. Inoltre, terrei a sottolineare come Camous abbia accordato un certo spazio e un notevole peso all’indagine dei dati archeologici, prove materiali che dimostrano, correggono o smentiscono ciò che sostiene la storiografia. 

Successivamente, entrato nelle coordinate spazio-temporali dell’ultima fase della Roma monarchica, l’autore prosegue attraverso uno studio critico delle fonti storiografiche, in particolare, compiendo un’analisi approfondita di quelle di età tardorepubblicana, per rilevare fino a che punto queste abbiano artificiosamente costruito l’immagine dei tiranni di Roma e quali siano stati i motivi per cui si sia tramandato un odio millenario solo verso l’ultimo Tarquinio. Un personaggio, scrive Camous, che «sarebbe potuto passare legittimamente alla storia come Tarquinio il Grande» (p. 13), ma che tutti conosciamo per la sua malvagità. Inoltre, particolare interesse sembra esercitare la sua controversa figura, poiché appare come il perfetto archetipo del tiranno intorno a cui furono costruiti miti, leggende e una tradizione collettiva che portò il popolo romano a maturare un vero e proprio odio culturale nei confronti della monarchia. Dunque, tale testo intende approfondire come «il più potente e sontuoso dei re di Roma, colui che raccolse i segni della sua futura egemonia mediterranea, che fece costruire i suoi monumenti più grandiosi e che impose ai Latini il suo potere, resterà prima di tutto per i Romani un tiranno sanguinario e il solo ricordo della sua dominazione basterà a scongiurare in eterno il ritorno della monarchia» (p. 15). Per tale ragione, Tarquinio il Superbo fu tramandato ai posteri come un criminale megalomane, una figura perfettamente effigiata secondo gli stereotipi del Tyrannos. In effetti, sembra che per questo sovrano la tradizione repubblicana abbia voluto costruire un ritratto talmente perfetto del terribile tiranno da creare vistosi sospetti nei confronti della storiografia. In merito, le fonti narrano di un Tarquinio che giunse al potere con le armi e con la violenza, e su questi elementi la vulgata romana delle origini fondò una strutturata propaganda antimonarchica: mise in luce le differenze tra il governo dell’ultimo re, ottenuto attraverso un sanguinoso colpo di stato, e quelli precedenti in cui la sovranità possedeva un iter specifico che passando per l’elezione si concludeva con la ratifica senatoria. 

Dunque, nonostante i governi dei due re che precedettero il Superbo furono anch’essi il risultato di atti di prepotenza contro lo Stato, la tradizione rese illegittimo solo l’ultimo regno al fine lasciare unicamente al Superbo il primato di malvagio tiranno. Capiamo, quindi, come la tradizione non solo plasmi la figura direttamente interessata, ma crei un mondo artefatto intorno alla storia con lo scopo di esaltare o denigrare qualcosa a suo piacimento. Infine, nell’ultimo capitolo, dopo aver approfondito le maggiori conquiste territoriali di Tarquinio il Superbo, Camous affronta “l’eredità” che tale odiatissimo re lasciò al popolo romano. Esiste un concetto, un tópos fondamentale che trasversalmente contamina tutta la storia romana: l’odium regni, locuzione che potremmo tradurre con “odio per la monarchia”, per la regalità; un sentimento viscerale che diventerà parte dell’idea comune della Roma repubblicana. Per questo, sostiene Camous, fu proprio la terribile esperienza provata sotto il governo dell’ultimo Tarquinio a scaturire un’avversione radicalizzata dei Romani contro ogni forma di ordinamento monarchico. Quindi, è ovvio che il suo regno dovesse essere strutturato come un susseguirsi di atroci eventi che portarono al rovesciamento della monarchia; così, il suo scopo all’interno della favola nazionale era compiuto: le “gesta” del malvagio tiranno avevano giustificato la Libertas ottenuta con l’avvento della repubblica nel 509 a.C.  

Ciò detto, la lettura del saggio di Thierry Camous si è rivelata per me di grande interesse, di grande impatto, una “ventata di aria fresca” all’interno di un panorama di studi, quello su Roma monarchica, che spesso rimane ancorato a nozioni troppo datate. 

Pietro Scudieri