Miti vaganti. Leggende metropolitane tra gli antichi e noi

Miti vaganti. Leggende metropolitane tra gli antichi e noi

Tommaso Braccini, Il Mulino, Bologna, 2021

Oggigiorno tutti hanno sentito parlare delle cosiddette “leggende metropolitane” o “contemporanee”: si tratta di narrazioni fittizie spacciate come autentiche, molto spesso intrise di moralismo, di critiche verso l’autorità e di paura del cambiamento, ma adattate al contesto nel quale vengono narrate, in modo da apparire plausibili all’ascoltatore. Non è raro che vengano “cucite addosso” a specifici personaggi famosi, o che riguardino persone inesistenti ma spacciate a loro volta come reali. Oggigiorno, alcune di esse stanno subendo una sorta di revival, affiancate da una serie di storie tutte nuove.
Lo studio del fenomeno non è certo recente, ma quello che Braccini fa nel suo libro è mostrare come molte di queste leggende, la cui origine si fa spesso risalire a un passato recente (basti pensare alle scie chimiche o al complotto dell’11 settembre), abbiano importanti precedenti nel mondo antico, e seguano stilemi tutt’altro che moderni.
L’autore introduce molte “leggende contemporanee”, e ne racconta brevemente la storia:prima espone la credenza attuale, indagandone l’origine più recente, e ne mostra poi le versioni precedenti, certo non identiche ma estremamente simili. È a mio avviso apprezzabile che egli non si limiti a un mero confronto tra il mondo classico e quello contemporaneo, ma crei una vera e propria “storia delle leggende urbane”, che si dipana anche in quello medievale e moderno. Non bisogna dunque intendere questo libro come uno sterile trattato di parallelismi, bensì come una vera e propria storia di queste nuove mitologie, che mostrano spesso una sorprendente continuità, modificandosi nei dettagli e adattandosi all’epoca e alla cultura, ma senza mutare di sostanza.
Braccini si premura di mettere anche l’accento sulla poligenesi di queste storie, mostrando come narrazioni molto simili possano svilupparsi in epoche e luoghi diversi senza alcun contatto. Il caso forse più emblematico è quello di una particolare storia di fantasmi (cap. VIII), laddove un giovane dà un passaggio a una ragazza che poi si scopre essere defunta. La storia in sé, con molte varianti, è comparsa forse l’ultima volta nel 2003, ma l’autore rileva come ci siano importanti paralleli sia con una storia raccontata da Flegonte nel II secolo, sia con una del cinese Gan Bao del IV. Si tratterebbe dunque di narrazioni analoghe che si “riattivano” al riproporsi di condizioni sociali e psicologiche simili.
Occorre poi menzionare un altro grande classico (cap. IX), ovvero la storia della bellissima ragazza straniera che una notte irretisce qualcuno per poi trasmettergli l’AIDS o rubargli i reni. Ebbene, questa leggenda non è null’altro che la versione contemporanea dei cosiddetti “racconti di fate” medievali, ma con importanti (e anzi, forse più stringenti)
paralleli classici, a partire ovviamente dalle sirene dell’Odissea fino alle onoscelidi della Storia vera di Luciano, bellissime donne che ammaliano gli incauti che si avvicinano, per rivelarsi poi dei mostri dai piedi d’asino. La base di tutto è ovviamente la paura del diverso e dello straniero.
Infine, una delle parti più interessanti (cap. XII) è quella delle sette sataniche che nascondono messaggi subliminali nelle canzoni rock, o drogano figurine e francobolli, al fine di convertire vittime ignare. Braccini rileva un parallelo bizantino con la setta dei Fundagiagiti, accusati di pronunciare su ignari fedeli un “incantesimo satanico” che avrebbe annullato il battesimo, spacciando il tutto per una benedizione ortodossa. A questo si ricollega per certi versi anche ciò che viene narrato all’inizio del libro (cap. II) sui potenti che complottano per distruggere o controllare l’umanità creando malattie come l’ebola e il covid-19, alla stessa maniera in cui un tempo lo facevano i lebbrosi, gli untori,
gli ebrei e gli eretici. Si tratta, in questo come in molti altri casi, di quello che l’autore chiama “antidoto al cambiamento”, ovvero la violenta (e fantasiosa) reazione a un mondo che sta mutando e che proprio per questo spaventa (non solo per grandi eventi come la pandemia, ma anche per l’affermarsi di nuovi movimenti culturali e religiosi).

Da tutto questo, come anche dai molti altri esempi che il testo riporta, possiamo comprendere come queste narrazioni abbiano molteplici funzioni, ma rientrino comunque nello stesso tipo letterario. La loro ripetitività, anche a distanza di millenni, si deve al fatto che gli esseri umani (e le società di cui fanno parte) mostrano sempre delle spinte reazionarie e moraliste che cercano con ogni mezzo di giustificare il proprio punto di vista, anche usando dei sotterfugi. Tale visione ha però spesso alla base la paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce, sia esso l’intenzione di un superiore, la diversità di uno straniero, la credenza di un nuovo gruppo, e così via. Questo era vero nell’antica Roma come nella
Parigi medievale, e lo è ancora oggi: da ciò nasce il riutilizzo di schemi narrativi consolidati, la cui capacità di fare presa sull’immaginario (e sulla paura) degli astanti è indiscutibile. Del resto, se ciò non fosse vero, l’autore non avrebbe potuto creare questa “storia delle fake news”.
Nel corso degli anni, Braccini ha abituato i suoi lettori ad argomenti sempre molto interessanti e, soprattutto, poco trattati nell’ambito degli studi classici e medievistici. Miti vaganti non fa eccezione, risultando al tempo stesso un testo agile e divulgativo, ma piuttosto puntuale nelle informazioni che fornisce, e con un’amplissima bibliografia. In
aggiunta, esso compare in un momento assai adatto, vista la quantità di fake news che nascono ogni giorno: chiunque può venirne a contatto, non solo tramite i media, ma anche semplicemente andando dal parrucchiere o ascoltando i discorsi al bar. Questo libro può essere un utile strumento per sviluppare il proprio senso critico, comprendendo come le storie che oggi vengono raccontate siano in realtà molto vecchie e dure a morire, poiché si basano sulle paure umane e sugli interessi politici di chi le narra.

Mauro Ghirimoldi