Colloquia Clio: “Illustrazione e decorazione libraria tra Quattro e Cinquecento. Produzione originale, imitazione e riuso nelle edizioni perugine del primo periodo”, conferenza di Maria Alessandra Panzanelli (Milano, 11 marzo 2024)

Per il ciclo di colloquia del Centre for visuaL hIstOry (CLIO) del Dipartimento di Studi Storici, lunedì 11 marzo si è svolta la conferenza Immagini e decorazione libraria tra Quattro e Cinquecento. Produzione originale, imitazione e riuso nelle edizioni perugine del primo periodo tenuta da Maria Alessandra Panzanelli, docente di Storia del libro presso l’Università degli Studi di Torino.

La relatrice si è soffermata su quattro casi di studio di ambito perugino, collocati in un arco cronologico ben delimitato, ossia tra il 1471, anno in cui comparve a Perugia l’ars artificialiter scribendi,e il 1559, anno di cesura per la tipografia perugina e anno di pubblicazione del primo Indice dei libri proibiti. In questo intervallo temporale nelle tipografie cittadine vennero stampate duecentocinquanta edizioni, una produzione contenuta a livello quantitativo, che tuttavia presenta alcuni casi interessanti per quanto concerne l’uso e il riuso delle illustrazioni librarie.

L’intervento di Alessandra Panzanelli ha preso avvio da un’illustrazione: una xilografia tratta dagli Statuti perugini del 1523-1528, che rappresenta una dedica, in particolare la consegna dell’editio princeps dei suddetti Statuti all’allora signore della città, Malatesta Baglioni. Viene qui raffigurato quello che potrebbe essere il primo centro tipografico cittadino; infatti è proprio in uno dei palazzi della cripto-signoria che il 26 aprile del 1471 Braccio Baglioni diede vita alla prima società di stampa assieme a un esimio dottore degli Ubaldi, a un mercante, a un cartolaio e a due magistri et impressores librorum.

Le prime edizioni stampate a Perugia contengono testi di ambito giuridico: in una lunga lettera prefatoria posta in apertura a quattro delle prime edizioni – una di Bartolo da Sassoferrato, due di Ubaldo degli Ubaldi e una di un giurista tardo-quattrocentesco – si tramanda che Braccio Baglioni aprì la tipografia per venire incontro alla domanda dell’università, dunque per lo studium.

È in questo clima culturale che si pone il primo caso di studio esaminato: Da Perugia a Basilea (1477). L’illustrazione più antica in un’edizione perugina, con un transito illustre.

Nel 1477 a Perugia venne pubblicato il commento di un giurista contemporaneo al IV libro del Codice, commento che rientra nel corpus delle letture universitarie di quei tempi; ne esistono otto esemplari, tra i quali solo quello conservato presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna presenta una rara vignetta, molto vivace, che sembra rappresentare una scena di scuola o di addottoramento. Questo rituale, che aveva luogo a Perugia e forse anche altrove, prevedeva l’uso di alcune insegne, ben descritte in un’opera di Cesare Crispolti, alcune delle quali sono presenti nella vignetta mostrata. Inoltre la figura centrale, che ricorda nei tratti il giurista Bartolo da Sassoferrato, attivo a Perugia tra gli anni ’40 e ’50 del Trecento, sembra riconducibile a una delle due serie iconografiche esistenti, quella che lo ritrae di fronte, come nell’effigie posta sulla tomba visitabile nella città umbra nel secondo decennio del Quattrocento.

Questa scena di scuola è stata per la prima volta portata all’attenzione della comunità scientifica da Max Sander, il quale, in uno studio sulle illustrazioni librarie italiane del Quattro e Cinquecento, affermò come la rarità di questa vignetta debba essere accostata a una sua ripresa in un’altra città, a Basilea, in un’edizione quivi stampata nel 1477. Lo studioso ipotizzò che la comparsa della vignetta perugina a Basilea fosse dovuta a Johann Amerbach, uno dei maggiori stampatori-editori della città; Sander giunse a questa ipotesi grazie alla presenza di un nome simile negli atti di un processo perugino datato settembre-ottobre 1477; in esso Stefano da Magonza accusava Johannes Wydenast di non avergli pagato la somma pattuita per l’opera da lui prestata. Negli atti compaiono i nomi dei compagni di Stefano, tra cui un tale Johann Ainbach. L’ipotesi di Sander è stata poi ripresa dal BMC, il British Museum Catalogue: nell’edizione facsimilare della sua prima edizione si legge in una nota manoscritta di Victor Scholderer – allora rettore – che Johann Ainbach sarebbe Johann Amerbach.

Alla luce di tutto ciò l’ipotesi di riuso delle decorazioni librarie avanzata dalla relatrice è stata la seguente: i tre artigiani specializzati sopramenzionati lavorarono insieme nella tipografia perugina e realizzarono la vignetta rappresentante la scena di scuola senza l’approvazione dello stampatore; la vignetta fu impressa soltanto su uno degli otto esemplari perugini. A seguito della rottura dei rapporti con lo stampatore, il quale non aveva apprezzato la loro intraprendenza, i tre giovani artisti partirono per Basilea, dove la vignetta ebbe tutt’altro sviluppo: la si trova infatti applicata al primo volume dei commentari di un grande canonista siciliano, Niccolò Tedeschi, il quale commentò tutte le parti del corpus del diritto canonico. Questo commento è diviso in sei libri, ciascuno dei quali ornati da una vignetta in relazione al luogo e al contenuto: la vignetta in oggetto viene qui ripresa, ma cambiano alcuni elementi di corredo, alcune figure e lo stile non più italiano, ma nordico.

Il secondo caso di studio preso in esame da Alessandra Panzanelli è stato il Libro delle sorti di Lorenzo Spirito Gualtieri, un volume altamente innovativo che si inserisce nella realtà locale perugina, benché stampato da un editore straniero, Stephano Arendes de Hamborch, il quale sul finire del Quattrocento si dedicò alla stampa di opere in volgare italiano. Il suo lavoro sarebbe stato pressoché impossibile senza la collaborazione con un giovane studente locale, per l’appunto Lorenzo Spirito Gualtieri, miniatore, amanuense e scrittore di grande lungimiranza. Egli infatti diede alle stampe presso la tipografia di Stephano Arendes la sua opera, il Libro delle sorti, chesi presenta come una specie di gioco da tavolo, in cui si interroga la fortuna, nonché figure mitiche e bibliche di spirito rinascimentale.

Il manoscritto originale è autografo ed è datato al 1482; è conservato in Marciana; negli anni Duemila è stato oggetto di una riproduzione facsimilare a opera della casa editrice Panini. Se si osservano le illustrazioni, si nota come esse siano più tarde rispetto al testo: risalgono infatti agli inizi del Cinquecento e sono state ricondotte da alcuni studiosi alla scuola del Perugino.

L’editio princeps è del 1482, come il manoscritto autografo, ed è stata prodotta autore vivente e verosimilmente collaborante con lo stampatore. Nelle illustrazioni dell’incunabolo si nota la giustapposizione di due stili: alcune figure bibliche, tra le quali David, Ezechiele, Daniele, sono rappresentate con uno stile marcatamente nordico, al quale si contrappone lo stile rinascimentale italiano caratteristico delle volute, presenti nelle tavole della prima parte dell’esemplare. Il primo a mettere in luce tale giustapposizione stilistica fu Tammaro De Marinis, il quale nel 1940 in Appunti e ricerche bibliografiche affermò che: «Le xilografie che lo arricchiscono debbono considerarsi tra le prime apparse di carattere schiettamente italiano: salvo i disegni di macchine guerresche del Valturio (Verona, 1472) e le belle cornici che ornano alcune operette pubblicate a Venezia da Radtolt […] quel che si conosce fino a 1482 è di pretto tipo tedesco». Una seconda ipotesi è quella formulata nel 2006 da Silvia Urbini in occasione della pubblicazione dell’edizione facsimilare Panini: Urbini affermò come l’edizione perugina presentasse xilografie fiorentine del 1482, nella fattispecie xilografie tirate dalle matrici destinate all’edizione di San Jacopo a Ripoli già in lavorazione in quell’anno. Nel Diario della stamperia in corrispondenza dell’anno 1482 sono citate cinquecento ‘sorte’ e null’altro. A commento di quest’ipotesi Alessandra Panzanelli ha fatto notare come spesso vi sia una tendenza a ricondurre le novità a Firenze, in quanto capitale del Rinascimento.

L’edizione del Libro delle sorti del 1482 è notevole per la presenza, precoce a quell’epoca, di alcuni elementi, tra i quali la cartulazione in numeri arabi e un frontespiziomolto ricco; in quest’ultimo si leggono alcuni versi su come non si debba dare ascolto alla sorte, la quale è soltanto un gioco, in quanto il vero governatore del mondo è Dio. Nel frontespizio viene poi presentato l’autore delle Sorti, ossia Lorenzo Spirito, e lo stampatore; ai piedi del frontespizio sta un grifone, il simbolo di Perugia.

La relatrice ha quindi sottolineato come, essendo l’opera di fattura perugina, sarebbe stato poco economico far incidere le vignette a Firenze; dunque l’ipotesi di Urbini sarebbe dettata da una visione, non per forza corretta, della produzione locale come necessariamente dipendente, anche materialmente, da quella fiorentina.

Nel terzo caso analizzato dalla relatrice sono stati presi in esame alcuni materiali utilizzati o copiati in diverse edizioni del Cinquecento. Inizialmente sono stati citati gli studi pregressi sull’argomento, ossia quelli di O. Jennings (1908), di D.E. Rhodes (1969) e di J. Potter (1993), i quali hanno posto in evidenza la ripresa, in alcune edizioni romane e perugine, di una particolare iniziale: la C abitata da poeta laureato. Le edizioni perugine menzionate sono state tutte stampate da Bianchino del Leone o Cosimo del Bianchino detto del Leone. Egli usa la C abitata in associazione alla P abitata; la stessa C abitata è stata trovata in un esemplare unicum e privo di colophon della Grammatica di Giovan Battista Cantalicio prodotta nel Cinquecento e conservata presso la Biblioteca Augusta di Perugia, dove si trova anche l’iniziale S. Tuttavia la prova lampante del riutilizzo di queste iniziali è il frontespizio del Babuino, un testo usato per imparare a leggere, conservato in copia unica presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, il quale sul verso del frontespizio reca «Impressum Perusie per Blanchinum apud Leonem» il 25 novembre del 1521. Questo esemplare presenta la stessa vignetta e le stesse iniziali abitate presenti nel Cantalicio, che per questo motivo è stato datato da Panzanelli agli anni Venti del Cinquecento ed è stato attribuito allo stesso stampatore. Infine è stato notato un particolare interessante presente nella vignetta di queste due edizioni: un maestro in cattedra, su quest’ultima sono incise una I e una C ripetute. L’ipotesi della relatrice è che si tratti delle iniziali del maestro in cattedra, Iohannes Cantaricius,e se ciò fosse vero il Babuino rappresenterebbe la prima occorrenza della vignetta, poi riutilizzata nella Grammatica di Cantalicio. Nel 2015 Dennis Rhodes trovò alla British Library un’edizione di una grammatica datata agli anni Cinquanta del Cinquecento con questa stessa vignetta, ma secondo lo studioso la I e la C rappresenterebbero le iniziali dell’intagliatore della matrice. Panzanelli ha però sottolineato come di norma le iniziali dell’intagliatore si trovino in basso, in una posizione decentrata, come testimonia una vignetta realizzata da Eustachio Celebrino, incisore comparso a Perugia nel 1511. Tale datazione ci è nota tramite il principe Essling, il quale dedicò alcune pagine della sua monumentale opera a Celebrino, collocandolo a Perugia già nel 1511 in relazione alla pubblicazione del Libro darme et amore chiamato Gisberto da Mascona di Francesco Lutio – questa notizia è stata poi ripresa dal DBI nel 1979. In realtà l’opera sopracitata è datata al 1521; dunque non è la prima opera di Celebrino a Perugia: si tratterebbe in realtà della grammatica di Donatus, il De octo orationis partibus, commentata da Ioannes Policarpus Severitanus e stampata a Perugia nel 1517. Nella vignetta del frontespizio della grammatica, simile a quella inizialmente presa in esame, si notano sulla cattedra le iniziali del maestro, M, I e P, mentre le iniziali dell’intagliatore sono di lato, incise sulla seggiola del maestro.

Secondo la relatrice, è più plausibile, dunque, che le iniziali I e C della vignetta precedente siano le iniziali del maestro, e non dell’incisore.

L’ultimo caso preso in esame è stato quello di Girolamo Cartolari e della sua editio princeps degli Statuti perugini, stampata in quattro volumi dal 1523 al 1528 e finanziata dal comune di Perugia: si tratta di quattro esemplari su pergamena, in cui ciascun volume è decorato da un doppio frontespizio e da un profluvio di iniziali xilografiche. La commessa fu affidata a Girolamo Cartolari, erede di una famiglia di cartolai poi divenuti anche stampatori. I quattro volumi si aprono con un frontespizio iniziale, ornato da una serie di cornici con al centro il grifo rampante, e presentano una serie di paratesti molto ricchi; inoltre le pagine sono formate da vari registri di tipografia e sono arricchite da iniziali ornate. Se si analizzano nel dettaglio i singoli elementi decorativi, ci si rende conto che ci sono elementi originali, come la vignetta con il grifo, ed elementi di recupero. Tra questi ultimi si annoverano le cornici, che ne riprendono alcune tipicamente veneziane, e le iniziali ornate, le quali appartengono a serie differenti: iniziali di grandi dimensioni, iniziali classiche con sfondo scuro o chiaro, iniziali criblé animate da facce grottesche, che richiamano alcune batterie di caratteri usati a Venezia da Luca Antonio Giunta. Oltre che per il riuso delle decorazioni, questa edizione è interessante in quanto riflette il contesto politico perugino, ossia l’instabilità della famiglia al potere; infatti ogni volume è dedicato a un membro diverso della famiglia Baglioni, la quale cedette definitivamente il controllo della città al papa nel 1540, quando Paolo III Farnese attaccò e poi vinse Perugia, distruggendo una parte importante della città rinascimentale – uno dei due colli, l’attuale Rocca Paolina che divenne il simbolo del potere papale.

Dalla relazione sono emersi svariati spunti di riflessione: innanzitutto come le opere della cultura grafica e artistica perugina siano difficilmente riconducibili alla Perugia rinascimentale, come si è visto nel caso del Libro delle sorti; come dallo studio di questi piccoli oggetti, i libri – spesso dalle edizioni più rare e peculiari – si possano ricavare e ricostruire i pezzi di una città perduta e più in generale i pezzi di una storia non ancora scoperta; da ultimo è stato sottolineato l’importante apporto delle Digital Humanities anche in campo bibliografico e bibliologico; è stato infatti menzionato il progetto condotto da Matilde Malaspina e da Cristina Dondi, assieme ad altri colleghi della University of Oxford, dal titolo 15cBOOKTRADE-Illustration: un software di image matching che la relatrice utilizzerà per confrontare diverse illustrazioni e comprendere se esse derivino effettivamente dalla stessa matrice – obiettivo non sempre raggiungibile dall’occhio umano. In conclusione, è solo grazie a un proficuo intreccio di saperi, alla collaborazione tra studiosi di diverse discipline e all’adozione di metodi tradizionali e non che si può generare nuova conoscenza in ogni ambito disciplinare, inclusa la storia del libro.

Matilde Operato